Il volto tirato, lo sguardo basso, spesso corrucciato. Le parole grevi, un incedere prudente. Non è il solito Barack Obama quello che è giunto in Europa – prima nei Paesi baltici e oggi e domani in Galles – per rassicurare gli “amici” d’Oltreoceano della vicinanza americana e per ribadire che gli Stati Uniti non permetteranno il prevalere di chi fomenta odio, tensioni e conflitti.
Il vertice Nato, chiamato a dare risposte sui diversi fronti caldi – dall’Ucraina alla Siria, dall’Iraq al Nord Africa, fino alla Terra Santa -, si apre con toni “sopra le righe”. Lo stesso Obama, e il fidato Cameron, hanno ribadito con un articolo congiunto pubblicato su “The Times” la volontà di difendere fermamente la democrazia e la pace, la sovranità degli Stati (a partire dall’Ucraina), il diritto internazionale, lottando contro le prevaricazioni e il terrorismo (leggasi Califfato). Sempre Obama, il vero protagonista del summit dell’Alleanza atlantica di fronte alle incertezze e alle divisioni europee, insiste su una presenza armata permanente della Nato nell’est europeo e chiede altresì agli “alleati” di investire negli armamenti.
Così i lavori di Newport rischiano di alimentare il clima plumbeo che grava sull’Europa orientale e sul Medio Oriente. Perché se si confonde la fermezza con le minacce, se si scambia la diplomazia con le promesse di guerra, allora a farne le spese sono la stessa pace e la sicurezza internazionale. E la gente comune che vive sul confine tra Russia e Ucraina oppure in una qualunque area della Siria o dell’Iraq, non ha certo bisogno di nuovi fautori dello scontro armato. L’obiettivo alto è la pace, prima di tutto e, si potrebbe dire, nonostante tutto. Nonostante Putin, la Jihad, l’Is, gli interessi di parte, i nazionalismi, gli armamenti, i vecchi rancori, i nuovi interessi economici… I grandi della Terra, riuniti attorno a un tavolo, non se lo possono dimenticare.
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