Il romanzo “Il colore prima del blu”
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Per leggere le precedenti puntate clicca su:
– Il colore prima del blu – Puntata 1
– Il colore prima del blu – Puntata 2
– Il colore prima del blu – Puntata 3
– Il colore prima del blu – Puntata 4
– Il colore prima del blu – Puntata 5
– Il colore prima del blu – Puntata 6
– Il colore prima del blu – Puntata 7
– Il colore prima del blu – Puntata 8
– Il colore prima del blu – Puntata 9
– Il colore prima del blu – Puntata 10
‹‹Ragazzo mio! Per imparare bene il mestiere, la prima regola è l’umiltà,›› mi dice il signor Alfredo mentre si asciuga il sudore con un fazzoletto. La mia colpa è quella di essere arrivato tardi al lavoro.
‹‹Non era osservare?›› rispondo.
‹‹Cosa?›› mi dice sorpreso.
‹‹Osservare! La prima regola è osservare. Me lo hai detto tu…›› dico divertito sperando di strappargli un sorriso.
‹‹Ah! Già! Già! Però mi ero sbagliato perché la prima regola è l’umiltà. Osservare è la seconda. Infatti, se non sei umile non puoi osservare con attenzione. E adesso mettiti a lavorare ché per il pranzo è tutto prenotato.››
Prendo la scopa che mi porge e inizio a pulire la sala. Non c’è nessun altro lavoro da fare ormai: ha preparato tutto lui e ora è al bar che fuma.
La speranza di vedere Anna a cena mi fa trascorrere velocemente l’intensa giornata lavorativa. Dopo il servizio del pranzo ho poco più di un’ora di pausa. Così mi reco su una piccola spiaggia vicino al ristorante. La chiamano “Caletta degli innamorati”.
Sergio il barcaiolo mi saluta con la mano. Si avvicina.
‹‹Sei venuto a rilassarti un po’?››
‹‹Sì,›› dico.
‹‹E allora vieni con me! Ti faccio fare un giro sulla barca.››
Sergio il barcaiolo è una delle persone più anziane del paese. Quando era giovane portava i turisti a fare gite lungo il lato roccioso della costa, fin dentro le insenature e le grotte. Il suo mestiere ormai è troppo antico anche per il nostro paese e così sul suo volto rugoso e abbronzato si scopre tutta la stanchezza di una vita dimenticata, e il suo sguardo è quello di chi non attende più nulla. I suoi occhi languidi gli donano un’espressione malinconica, tipica dei personaggi dei film che proietta don Piero. Vorrei essere un regista e lasciare sospeso sullo schermo il dettaglio dei suoi occhi per almeno trenta secondi. Un tempo lunghissimo per un dettaglio: solo un grande regista avrebbe il coraggio di farlo. Rema con disinvoltura Sergio. E quando la figura del faro sopra la caletta si scorge per intero, con tutta la sua scalinata per raggiungerlo dalla spiaggia, smorza l’acqua con i remi e li tira entrambi a bordo. Ascolto l’unico rumore presente: il vento che smuove le acque facendoci ondeggiare. Come posso lasciarmi ammaliare da quello stesso mare che si è portato via mio padre? Eppure il mare ha questo potere: affascina nonostante lo si odi e stuzzica nonostante faccia paura.
Mi passa i remi: ‹‹Vediamo se sei buono per lavorare a mare.›› Le mie braccia si allungano. I muscoli si irrigidiscono. Tutti quanti. Alcuni non sapevo neanche di averli. È una contrazione. Mi manca la grazia. Il mio corpo non si muove tutto insieme. Non sono fluido e la barca avanza a scatti.
‹‹Siete una cosa sola. Non due! La barca ha bisogno di un cuore: e quello sei tu,›› mi dice Sergio. Le mie mani non hanno i calli come le sue o come quelle di Nico. Le sento sanguinare e scopro che il mestiere del remare è una fatica nuova, dolorosa.