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Tra Europa e Stati Uniti la partita (da vincere) della “liberalizzazione”

Di Gianni Borsa

Prodotti e servizi meno cari per le tasche dei cittadini europei, senza rinunciare alle tutele comunitarie per la salute dei consumatori, l’ambiente e le imprese dell’Ue. Il tutto creando – in prospettiva – occupazione. E contribuendo a costruire un sistema economico globale più equilibrato, dal quale emergerebbero vantaggi anche per le economie “terze” più fragili, ossia quelle dei Paesi in via di sviluppo. Un libro dei sogni? Non dovrebbe essere così. Si tratta del Partenariato transatlantico su commercio e investimenti (sigla inglese Ttip), che Unione europea e Stati Uniti stanno negoziando da oltre un anno. Di recente, a luglio, si è svolto il sesto turno negoziale, e i tempi si prevedono ancora lunghi: un paio d’anni. Eppure sugli effetti benefici di un avvicinamento tra le due sponde dell’Atlantico concordano politici ed economisti. Mentre non mancano le voci che chiedono trasparenza nei negoziati e “garanzie democratiche” sull’esito degli accordi.

Tariffe e altri ostacoli. Il Ttip dovrebbe essere un nuovo e ampio accordo tra Europa comunitaria e Usa per favorire gli scambi commerciali – import ed export -, i reciproci investimenti finanziari, lo sviluppo agricolo; il tutto fondato soprattutto sull’abbattimento di tariffe e dazi, sulla soppressione di una miriade di normative ritenute ormai superflue, sul superamento delle restrizioni agli investimenti. Un accordo che punta dunque a una maggiore “liberalizzazione”, pur senza forzare una serie di pilastri che sia gli Stati Ue sia Washington hanno creato col tempo per proteggere i propri cittadini e i rispettivi sistemi produttivi. La decisione di intraprendere la strada del Ttip è maturata come una delle possibili risposte alla crisi economica, ma anche per lo stallo in cui si trovano i negoziati multilaterali in sede di Organizzazione mondiale del commercio (l’agenda di Doha per lo sviluppo). Per conto dell’Europa le fitte trattative sono affidate alla Commissione Ue e in particolare al responsabile per il commercio, il belga Karel de Gucht. Il quale, intervenendo a metà luglio dinanzi all’Europarlamento per fare il punto della situazione, ha spiegato che “si stanno facendo dei progressi”, benché l’intenzione sia quella di accelerare, per giungere forse a un punto fermo nel 2016. “Con l’accordo Ttip non si abbasseranno gli standard di protezione dei consumatori europei”, ha sostenuto de Gucht, che invece si è detto certo di vantaggi reali nel campo dell’alimentazione, dell’agricoltura, degli investimenti e dell’occupazione, persino della protezione dei dati personali. 

Quali possibili vantaggi? I negoziati per il Ttip si stanno peraltro rivelando assai complessi, dato che le normative in campo economico e commerciale sono amplissime e differenti sulle due rive dell’oceano. Prima di avviare tali negoziati, l’Ue ha però fatto svolgere un’indagine indipendente affidata al Centre for Economic Policy Research di Londra. Dalla corposa inchiesta si deduce che i vantaggi concreti non dovrebbero mancare. L’Ue avrebbe benefici annui per 119 miliardi di euro (ossia 545 euro a famiglia), mentre per gli Stati Uniti il guadagno reale sarebbe di 95 miliardi di euro (655 euro per ogni famiglia americana). Utili, questi, derivanti dalla riduzione dei prezzi al consumo (dal cibo alle auto, dall’energia ai viaggi), da investimenti più diffusi e a buon mercato per le imprese ma anche per le famiglie (mutui), dal venir meno dei cosiddetti “ostacoli non tariffari” (burocrazia, lungaggini…).

L’attenzione dei vescovi. La partita che si sta giocando è certamente delicata e a livello Ue si tende a rassicurare gli Stati aderenti: prima di entrare in vigore, il Ttip dovrà infatti essere approvato dall’Europarlamento, che dà voce ai 500 milioni di cittadini europei, e dal Consiglio Ue che rappresenta i governi dei Paesi membri. Non a caso la Comece, Commissione degli episcopati della Comunità europea, è più volte intervenuta negli ultimi mesi sull’argomento. A fine giugno il segretariato Comece ha organizzato un seminario a Mönchengladbach (Germania), assieme al Centro cattolico di scienze sociali, concentrandosi sulle sfide e sui rischi correlati. Nel numero estivo di “EuropeInfos”, rivista mensile on line della Comece, appariva un articolo che sviscerava diversi aspetti del tema. Ma soprattutto il presidente della Comece, cardinale Reinhard Marx, aveva concentrato buona parte del suo intervento durante l’incontro annuale tra istituzioni Ue e Chiese in Europa, tenutosi a inizio giugno, proprio sul Ttip. “Il libero scambio comporta sempre la possibilità di una maggiore prosperità, ed è quindi cosa buona – aveva dichiarato Marx -. Ma il mercato ha bisogno anche di regole chiare”. Per questo, “i due partner transatlantici, che rappresentano l’Occidente coniato dal cristianesimo, possono con un simile accordo promuovere nell’economia globale norme chiare, eticamente fondate”, così che l’accordo diventi “non solo un’opportunità ma una responsabilità speciale” da porre “al servizio del bene comune”. La stessa Comece dedicherà i lavori della plenaria di novembre al Ttip.

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