Gli iraniani che si convertono al cristianesimo “diffondono la corruzione sulla terra”. È l’accusa che le autorità iraniane hanno rivolto al pastore Matthias Haghnejad e ad un altro cristiano, Silas Rabbani, mentre al pastore Behnam Irani sono stati notificati 18 nuovi capi d’accusa, tra i quali quello di “inimicizia verso Dio” e di essere una spia. La notizia è stata riferita dall’Agenzia Fides, che l’ha appresa dall’Ong “Christian Solidarity Worldwide” (Csw), per la quale questi casi “sono parte di una preoccupante escalation nella campagna contro i convertiti al cristianesimo, accusati di azioni contro lo Stato o contro l’ordine sociale” e che subiscono torture per estorcere loro una falsa confessione o processi iniqui condotti in assenza di testimoni. Csw ritiene che questo tipo di accuse “rappresentino un atto d’accusa del cristianesimo stesso” e chiede il rilascio di tutti i cristiani detenuti solo a causa della loro fede, come i 5 cittadini iraniani convertiti che nel dicembre dell’anno scorso furono arrestati in una “chiesa privata” di Teheran, mentre celebravano i riti del Natale.
Centinaia di persone rischiano di essere giustiziate. Nonostante le promesse in occasione della sua elezione e la costruzione di un’immagine “moderata” rispetto al suo predecessore, le condizioni dei cristiani, delle altre minoranze e degli oppositori politici, si sono ulteriormente aggravate nell’Iran guidato da Hassan Rohani. Da un rapporto di Human Rights Watch, diffuso nel mese di agosto, si apprende che su 189 diversi casi che riguardano prigionieri rinchiusi in tre carceri della città di Karaj, 50 chilometri dalla capitale Teheran, almeno 63 sono stati fermati, accusati e condannati per “aver esercitato il loro diritto alla libertà di parola e di religione, o per le loro attività politiche pacifiche”. Sono per la maggior parte membri della comunità Bahaie – minoranza religiosa particolarmente repressa – giornalisti, difensori e attivisti per i diritti umani, blogger, religiosi cristiani, persone convertite al cristianesimo, manifestanti pacifici e politici d’opposizione. Altri si trovano in carcere per “offese” o “insulto” al leader supremo, al presidente o ad altre figure governative. La Ong concentra anche l’attenzione su 126 persone arrestate e condannate a morte nonostante vizi di forma e violazioni, delle quali 35, accusate di “terrorismo”, rischiano di essere giustiziate. Altre centinaia di persone si troverebbero, secondo il rapporto, in altre carceri del Paese, con il rischio di subire una condanna a morte. Le organizzazioni internazionali hanno stimato in almeno 800 il numero delle condanne a morte comminate nel primo anno di presidenza di Rohani, eletto nel mese di giugno del 2013, alcune comminate anche a minorenni, in violazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo, altre in nome dell’accusa formale di traffico o possesso di droga – bastano 30 grammi di eroina – che spesso secondo gli osservatori viene usata per incastrare gli oppositori del regime, altre infine con capi d’imputazione che rimangono ignoti. Le esecuzioni avvengono in segreto: questo rende difficile tenerne la contabilità, tanto che Iran Human Rights sostiene che il numero effettivo delle esecuzioni è probabilmente molto superiore ai dati forniti nel suo rapporto annuale.
0 commenti