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Nel governo dell’Europa la rivincita della politica

JunckerGideon F. De Wit

L’operazione-simpatia riesce quasi sempre a Jean-Claude Juncker, navigato ex premier lussemburghese, conservatore di formazione democristiana, figlio di un operaio siderurgico che ha scalato negli ultimi 30 anni la politica nazionale ed europea con estreme abilità diplomatiche e oratorie. Così, presentando il 10 settembre a Bruxelles la futura Commissione Ue, della quale è stato eletto presidente, non ha rinunciato alle battute: “Un primo vicepresidente? Certo, per sostituirmi in caso di assenza, fisica o mentale”; “Ho introdotto una rivoluzione nel modo di operare dell’Esecutivo e per questo parlerò in francese!”; “Per arrivare a nove donne son dovuto stare al telefono tutto agosto”.  
Del resto senza arte diplomatica, sorrisi sornioni e allenamento allo slalom, Juncker sarebbe ancora al palo, frenato – proprio nella composizione del prossimo collegio – dagli interessi nazionali, dalle ambizioni dei partiti europei, dal tira-e-molla sulla distribuzione degli incarichi, dalla faccenda della parità di genere. E perfino dalla diatriba rigore/flessibilità. Eppure ora il risultato c’è, la “squadra” è definita: si tratta di superare le insidiose audizioni di ogni singolo candidato commissario dinanzi al Parlamento europeo e poi convincere la maggioranza degli eurodeputati a dare il voto favorevole alla Commissione Juncker che sostituirà quella di José Manuel Barroso dal 1° novembre.
Ma si possono riscontrare segnali di discontinuità rispetto al passato? Si intravvedono nuovi percorsi? Juncker ha considerato gli enormi ostacoli che l’Unione europea ha di fronte, i quali richiedono decisioni a breve termine e risultati pressoché immediati? Perché la crisi economica, la disoccupazione, l’instabilità ucraina, la vaporiera balcanica, le migrazioni mediterranee di certo non restano in surplace nell’attesa che l’Ue e i 28 Stati membri si accordino sulla distribuzione delle poltrone…
Un primo sguardo sul programma dell’Esecutivo, sul metodo di lavoro proposto (gli annunciati project team) e sulla statura delle donne e degli uomini scelti per far parte del collegio, in effetti fanno pensare a un cambio di passo. Juncker dichiara guerra alla burocrazia, vuole un’Europa più “leggera”, che “fa meno ma fa meglio”, che dunque scommette sul principio di sussidiarietà. Per dare dinamicità all’Esecutivo ha istituito delle macro-aree, ovvero dei gruppi operativi, ciascuno coordinato da un vicepresidente, così da pervenire a una maggiore collegialità nelle strategie della Commissione ad esempio nei settori dell’energia, dell’agenda digitale, dell’economia e finanza, della politica estera. Se non sorgeranno conflitti di attribuzione delle competenze e sarà chiaro “chi fa cosa”, il metodo-Juncker potrebbe rivelarsi costruttivo.  
Un’altra novità apprezzabile riguarda la definizione di una delega per le migrazioni (regolari e irregolari). Ugualmente interessante appare l’enfasi assegnata all’economia reale, all’occupazione e al “dialogo sociale”: ambiti coperti da altrettante deleghe, per ribadire che i cittadini si attendono frutti tangibili, un lavoro e un reddito sufficiente per vivere con dignità, opportunità per le giovani generazioni, la protezione della salute, un ambiente “pulito” in cui vivere, frontiere sicure. In questo senso Juncker strizza l’occhio ai cittadini, oltre che a una buona parte dei governi: siamo ancora in piena crisi, ma si intravvedono vie d’uscita, per questo “l’impegno maggiore dev’essere rivolto alla crescita e all’occupazione”. Parole che tanti, in Europa, volevano sentir dire.
Non va neppure sottovalutata l’attenzione rivolta dall’esponente lussemburghese alla costruzione di una squadra con una significativa e qualificata presenza femminile. “All’inizio di luglio dai governi mi erano arrivati solo i nomi di tre donne. Ora siamo a nove, tante quante ne sono presenti nella Commissione Barroso”. “Certo, non è ancora un dato ottimale”, perché le commissarie sono un terzo del totale, non la metà, “ma lo considero un risultato al momento apprezzabile”, soprattutto perché, ha spiegato lo stesso Juncker, “alle commissarie sono state assegnate deleghe di peso”, fra cui gli esteri, il bilancio, l’energia, la giustizia, il lavoro e gli affari sociali, il mercato interno, il commercio.
L’équipe-Juncker avrà, infine, un tratto fortemente “politico”: quasi tutti i commissari sono stati premier o ministri o eurodeputati. Ampia parte di essi ha una vasta e riconosciuta esperienza in materia economico-finanziaria oppure di politica internazionale: e con i tempi che corrono questi appaiono i due ambiti di azione più urgenti. Si potrebbe poi pensare che a Bruxelles la politica, quella con la P maiuscola, stia riprendendo il sopravvento sulle mere competenze “tecniche” o settoriali e sulla “eurocrazia”. Ma è ancora troppo presto per dirlo.