VescovoDi Michele Luppi
La preoccupazione per l’aggravarsi della crisi nel nord della Nigeria e per le conseguenze che sta avendo sull’intera regione, è stata espressa dai vescovi camerunesi durante la recente visita “ad limina” in Vaticano. “Abbiamo chiesto al Papa cosa può fare la Chiesa in un contesto come il nostro e il Santo Padre ci ha invitato alla preghiera e al dialogo”, racconta al Sir monsignor Bruno Ateba Edo, vescovo di Maroua-Mokolo, la diocesi del nord del Camerun dove, nel mese di aprile, sono stati rapiti (e poi rilasciati) i sacerdoti vicentini Giampaolo Marta e Gianantonio Allegri, insieme con la suora canadese, Gilberte Bussier. Una sorte che era toccata, in precedenza, anche al missionario francesce Georges Vandenbeusch e, successivamente, a un gruppo di operai cinesi, ancora nelle mani di Boko Haram. Ma, oltre al pericolo dei rapimenti, la Chiesa locale è chiamata a confrontarsi con il crescente flusso di profughi in fuga dai combattimenti che stanno agitando lo stato nigeriano del Borno, dove è stato proclamato il califfato. Mons. Ateba Edo, vescovo di Maroua-Mokolo dall’aprile scorso, ha approfittato del suo viaggio in Italia per incontrare gli uffici missionari delle diocesi di Como, Vicenza e Milano che, fino a pochi mesi fa, erano presenti in Camerun con i proprio missionari; religiosi rientrati in Italia a causa del deterioramento delle condizioni di sicurezza.
Eccellenza, com’è oggi la situazione in diocesi?
“Il governo del Camerun ha rafforzato la presenza lungo il confine con la Nigeria dove la setta ha attaccato alcuni villaggi. La situazione sembra migliorata, ma attualmente stiamo accogliendo molti rifugiati entrati in Camerun per sfuggire agli attacchi. Tra loro ci sono anche numerosi militari costretti alla fuga dai miliziani”.
La porosità del confine e i fitti legami familiari e commerciali tra i due Paesi rendono più difficile gestire la situazione?
“Certamente. Dalle due parti del confine vivono le stesse tribù e, spesso, ci sono famiglie divise tra i due Paesi. Per questo la situazione non è facile. Quando parliamo di Boko Haram non dobbiamo pensare ad una realtà monolitica, ma ad una nebulosa i cui confini non sono sempre così chiari. Per questo ci possono essere zone grigie, anche in Camerun, che non sono però facili da identificare”.
Secondo le autorità locali sono oltre 25mila i profughi nel territorio della vostra diocesi. Cosa si sta facendo per loro?
“Le organizzazioni umanitarie stanno lavorando e anche la Chiesa cerca di fare quello che può, anche se le risorse a disposizione sono limitate. Ci sono profughi che sono accolti nelle scuole, altri nelle parrocchie. Tra loro anche molti musulmani. La concentrazione maggiore è nei villaggi verso la Nigeria ma l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha attrezzato dei campi verso l’interno, in modo da alleggerire la pressione nei villaggi di confine”.
Come avete vissuto il rapimento dei missionari?
“É stato uno choc per tutti noi! Fin dal primo momento tutta la Chiesa del Camerun, non solo la nostra diocesi, si è raccolta in preghiera per chiedere la loro liberazione. Ma abbiamo pregato e continuiamo a pregare anche per Boko Haram perché il Signore converta i loro cuori”.
A seguito dei rapimenti molti dei missionari hanno lasciato la diocesi. Quali implicazioni ha avuto questo per la vita delle comunità locali?
“Le comunità si sono ritrovate orfane dei loro pastori, ma con la consapevolezza di poter confidare nel Signore. È bello vedere come in questi anni siano stati formati catechisti che stanno tenendo accesa la fiamma del Vangelo. Noi preghiamo perché la situazione torni alla calma così da permettere ai missionari di ritornare”.
Pensa che un ritorno sia dunque possibile?
“Certo, ma vogliamo che la situazione sia calma e sicura”.
Crede vi sia il rischio che la presenza dei missionari possa alimentare – attraverso altri rapimenti – la setta?
“Boko Haram cerca la destabilizzazione delle comunità cristiane, ma certamente dietro ai rapimenti ci sono anche altre ragioni: penso al bisogno di sfidare l’Occidente, di guadagnare l’attenzione mediatica internazionale e, anche, di reperire risorse”.
Per sconfiggere Boko Haram è sufficiente l’intervento armato?
“La questione va affrontata da un punto di vista regionale e internazionale. Ad agosto si è tenuto a Parigi un summit che andava proprio in questa direzione e che ha riunito i leader di Camerun, Ciad, Nigeria e Niger. Il presidente del Camerun ha fatto visita anche negli Stati Uniti. Si sta andando in questa direzione”.
Teme la diffusione del radicalismo in Africa?
“In Camerun i musulmani sono circa il 20% della popolazione e fin dall’indipendenza viviamo in pace e lavoriamo insieme. Sono gli stessi musulmani a dirci che Boko Haram non rappresenta l’Islam”.
Di fronte a tutto questo come vede il futuro della Chiesa in Camerun?
“Sono ottimista perché abbiamo molti cristiani e, soprattutto, cristiani impegnati. Siamo una Chiesa viva. Una speranza che abbiamo racchiuso nel tema ‘Io sarò con voi ogni giorno, fino alla fine del mondo’ scelto per questo anno pastorale”.

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