DIOCESI – Riportiamo nella sua interezza il testo dell’Omelia del nostro Vescovo Carlo Bresciani, in occasione della celebrazione eucaristica d’inizio anno pastorale svoltasi presso la Cattedrale della Marina in San Benedetto del Tronto nella serata di sabato 20 settembre. La presente omelia la potete vedere anche in versione video
“Cercate il Signore, mentre si fa trovare” (Is 55,6), L’esortazione del profeta Isaia ben si addice all’inizio di un anno pastorale. Il Signore si fa trovare, ma dobbiamo cercarlo, cioè essere pronti ad accoglierlo. Cercare mentre si fa trovare: significa che non possiamo rimandare a domani la ricerca di oggi, ma fare buon uso del tempo che egli ci dona. Un anno pastorale è un’occasione propizia per incontrare personalmente e comunitariamente il Signore.
Cercare significa che non lo si è ancora incontrato completamente, significa non chiudersi nei propri pensieri e nei propri schemi del passato. Infatti “i miei pensieri non sono i vostri pensieri” (Is 55, 8). Dove dobbiamo cercarlo per essere sicuri di trovarlo e non cercare invano? Certamente nella sua Parola e nella Chiesa.
Ecco i due pilastri del nostro programma pastorale: la Parola di Dio e la Chiesa. La Parola di Dio letta e meditata nella Chiesa e con la Chiesa. Abbiamo bisogno dell’umiltà della ricerca e, prima ancora, dell’umiltà di riconoscere il nostro bisogno di Dio. Dio è nel nostro passato, è nel passato delle nostre comunità parrocchiali, ma non basta, deve essere anche il nostro presente, un presente che non ci chiude su noi stessi, ma ci apre al futuro, poiché “le vostre vie non sono le mie vie”. Umiltà, quindi, di imboccare vie nuove, quelle che la Parola di Dio e la Chiesa ci indicano.
Siamo qui questa sera animati da questa ricerca del Signore, invocando la sua benedizione su ciascuno di noi e sul nuovo anno pastorale della nostra amata diocesi. Oh! come vorremmo che l’espressione di san Paolo “per me il vivere è Cristo” (Fil 1,21) potesse in verità essere la nostra e quella di ciascun sacerdote e di ciascun laico della nostra diocesi. Se non viviamo in Cristo, se non facciamo nostra la passione di san Paolo per Gesù, rischiamo di essere cembali che strepitano (cfr. 1 Cor 13, 1), trombe che suonano a vuoto.
L’amore di Cristo ci spinge a cercare tutto il possibile per farlo conoscere e amare da coloro che ancora non lo conoscono e non lo amano. Come l’amante desidera che l’amata sia amata da tutti, così noi desideriamo, e non possiamo non desiderarlo, che quel Gesù che noi amiamo sia conosciuto e amato da tutti. Questa, e non altro, è la motivazione della nostra pastorale. Cerchiamo il Signore perché lo amiamo e lo glorifichiamo donandolo al fratello. È così che “Cristo sarà glorificato nel nostro corpo” (cfr. Fil 1, 20c), vale a dire nella nostra vita.
Apriamo le porte a Cristo, aprendole al fratello; usciamo dalle nostre porte per andare incontro al fratello. Non fermiamoci ad aspettare che lui venga a casa nostra, andiamo noi a cercare lui, come ha fatto Gesù che è venuto a cercarci quando noi eravamo ancora suoi nemici, cioè peccatori (cfr. Rom 5, 8.10), come ha fatto san Paolo che si è messo in cammino verso Corinto, la città dissoluta, e vi ha piantato l’amore di Cristo.
Siamo umili operai nella vigna del Signore (cfr. Mt 20, lss.), non aspettiamo l’ultima ora per metterci al lavoro sull’invito del padrone della vigna. Se è vero che davanti a Dio non è la quantità del lavoro che conta (gli operai dell’ultima ora sono ricompensati come quelli della prima), è altrettanto vero che non possiamo rinviare il nostro sì come risposta alla sua chiamata quando essa arriva. Questa parabola ci insegna che non dobbiamo stare a guardare per giudicarci gli uni gli altri: “io ho fatto più di quello … io merito di più e quello di meno … io sono più vecchio … io sono più giovane tutti confronti che sono fonte di contrapposizione e che hanno la loro radice nel desiderio di emergere sugli altri e portano a quelle forme di invidia (cfr. Mt 20, 15) e di mormorazione da cui dobbiamo guardarci accuratamente anche nella Chiesa. Si tratta di peccati gravi, perché l’invidia e la mormorazione rendono sterile l’amore per Cristo e allontanano da lui. Gli operai della vigna vanno a lavorare e sono grati per essere stati chiamati dal padrone a lavorare, ma poi, al momento della paga incominciano a fare i confronti, si dimenticano del padrone e di quello che hanno ricevuto e incominciano a mormorare contro il padrone (Mt, 20, 11).
Quante comunità sono frenate nella loro generosità da invidie e da mormorazioni malvagie che, come per gli operai della vigna, rovinano il tanto buon lavoro fatto. Estirpiamo da noi e dalle nostre comunità questa gramigna che soffoca il buon grano.
Nella vigna del Signore c’è posto per gli operai della prima ora e per gli operai dell’ultima. C’è posto per gli anziani e per i più giovani: i primi devono accettare che anche ai giovani Dio affida un compito nella Chiesa, mentre i più giovani devono imparare a rispettare il lavoro fatto dagli anziani. Dio ama gli uni e gli altri; la vigna ha bisogno degli uni e degli altri. A noi che amiamo il Signore basta lavorare con Lui e per Lui. Siamo contenti se altri possono fare meglio di noi, se i doni degli altri completano ciò che manca a noi stessi. Nello stesso tempo, però, non ci tiriamo indietro dall’offrire la nostra disponibilità dove il Signore ce la chiede: in famiglia, al lavoro, in parrocchia, in diocesi. Siamo operai nella vigna del Signore in virtù del battesimo e del nostro amore per il Signore, prima che per incarichi ecclesiali specifici che ci vengano affidati.
Noi non cerchiamo il nostro interesse o posti di onore qui o là; non cerchiamo l’affermazione di noi stessi attraverso il compito che ci viene affidato: il nostro vanto è servire il Signore, la nostra ricompensa è la sua gloria, la nostra gioia è che “in tutto sia glorificato Dio” (lPt 4.11).
La vigna ha bisogno di più operai che lavorano insieme, che hanno un progetto comune, che sanno collaborare: c’è bisogno di chi vanga, di chi pianta, di chi irriga, di chi pota. Impariamo ad apprezzare il lavoro di ciascuno, dal più umile e nascosto (spesso il più importante) al più appariscente, facendo ognuno al meglio il proprio lavoro. Impariamo ad avere fiducia gli uni degli altri, a darci fiducia reciprocamente: senza di essa nessuna collaborazione è possibile. Senza alcuna presunzione, abbiamo fiducia in noi stessi e nella grazia di Dio che ci sostiene. Abbiamo fiducia di chi ha un compito in curia, così come abbiamo fiducia di chi lavora in parrocchia. Il vescovo ha e dà questa fiducia: diamocela reciprocamente. Nessuna famiglia sta in piedi se non ci si fida gli uni degli altri, nessuna impresa è possibile se non ci si fida dei compagni di viaggio. Se Dio si fida di noi, anche noi possiamo darci fiducia gli uni gli altri.
Abbiamo davanti un anno di grazia del Signore, un tempo favorevole per ciò che Dio vuole operare tra di noi. “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente” (lGv 3, 1). Siamo commossi di fronte a tanto amore, sentiamo una immensa gratitudine a Colui che ci ha resi suoi figli. Come vorremmo che tutti provassero questa consolazione dello spirito!
Andiamo, quindi, con la gioia del Vangelo dell’amore di Dio nel cuore, doniamo questa gioia a tutti con larghezza: ai vicini e ai lontani; ai giusti e ai peccatori; ai bambini, ai giovani e ai vecchi; ai sani e ai malati; agli uomini e alle donne. Nessuno sia privo della nostra amorevole vicinanza, della quale Dio, nella sua bontà, si serve per far giungere a tutti il suo amore.
E che la benedizione del Signore vi accompagni sempre. Sia lodato il nome del Signore. Ora e sempre!”
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