Il Papa si rivolge agli operai che lo ascoltano constatando una difficoltà di comunicazione fra il mondo della religione e quello del lavoro: “Noi facciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi. O Noi forse non vi comprendiamo abbastanza? Sta il fatto che il discorso è per Noi abbastanza difficile”.
Questa incomprensione, secondo il Papa, è dovuta al fatto che “il lavoro e la religione, nel nostro mondo moderno, sono due cose separate, staccate, tante volte anche opposte”. Ma il Papa sottolinea che “questa separazione fra il mondo del lavoro e quello religioso, quello cristiano, non esiste, o meglio non deve esistere”.
Secondo Paolo VI, l’uomo moderno, così tecnologicamente progredito, si avvicina con diffidenza, se non proprio con ostilità, alla religione perché vede in essa un freno al proprio progresso. Ma una tale inibizione non ha senso. Anzi, religiosità, lavoro, abilità tecnica e progresso si devono incontrare. Il Papa infatti prosegue la sua omelia dicendo: “Non abbiate timore che questa presenza, questa alleanza, vissuta nella fede e nel costume, voglia mutare l’aspetto, la finalità, l’ordinamento d’un’impresa come questa e di altre simili; voglia cioè, come volgarmente si dice, clericalizzare il lavoro moderno dell’uomo, ovvero frenare la sua espansione, opporre la finalità religiosa della vita allo sviluppo dell’attività umana, il Vangelo al progresso scientifico, tecnico, economico e sociale”.
Con queste parole Paolo VI vuole ricordare che la tecnologia non si oppone alla spiritualità. Infatti nella visione cattolica, Dio ha creato l’uomo e lo ha dotato di intelligenza perché egli continuasse l’opera della creazione. Nelle sue scoperte, nelle sue invenzioni, l’uomo non fa altro che mettere a frutto i talenti che Dio gli ha dato. Dice infatti il Papa: “È questo un pensiero, un principio, che dovrà sempre più diventare sorgente di meditazione per l’uomo moderno, e suscitare in lui non l’orgoglio e la tragedia di Prometeo, ma quel sentimento primordiale e dinamico di simpatia e di fiducia verso la natura, di cui siamo parte e in cui siamo esploratori”.
Nell’osservazione della natura e nella volontà di comprendere i meccanismi del mondo, l’uomo scopre una via che lo conduce a Dio con un “sentimento che si chiama meraviglia – sentimento di gioventù e d’intelligenza -, e che passando dall’osservazione incantata delle cose alla ricerca suprema della loro origine diventa scoperta del mistero, diventa adorazione, diventa preghiera.