C’è un lungo percorso iniziato alla fine della seconda guerra mondiale che contribuisce a rendere particolarmente viva l’attesa per la visita di Papa Francesco al Parlamento europeo, fissata il 25 novembre a Strasburgo. Si tratta di un’eredità preziosa lasciata da pontefici “europei”. Anche Papa Bergoglio ha radici nel vecchio continente, mentre la sua vita si è snodata in un Paese dell’America Latina, “quasi alla fine del mondo”, che ha una storia molto diversa ma non del tutto estranea a quella europea.
Francesco ha anticipato qualcosa di nuovo del suo pensiero sull’Europa e, in particolare, sulla Chiesa europea. Incontrando nei giorni scorsi i vescovi di diversi continenti ha detto, seppur a braccio, che “le Chiese nuove devono sostenere l’Europa con le preghiere e anche con l’aiuto affinché si riprenda”. Ha amabilmente aggiunto che il continente europeo è “un po’ invecchiato” al punto che “la madre Europa” sembra essere oggi “la nonna Europa” e che può accadere che il centro del mondo diventi una “periferia” del mondo. Un realismo che trova ampie conferme nell’attualità.
Eppure la traccia lasciata dai predecessori si congiunge al pensiero di Papa Francesco perché, guardando all’Europa, sempre forti sono state le loro preoccupazioni, le loro speranze. Puntuali sono stati i loro insegnamenti e moniti.
Nel 1948, Pio XII dice a un congresso dei Federalisti europei: “Non c’è tempo da perdere” nel costruire la casa comune europea. Papa Pacelli non si limita a fissare degli obiettivi, dei principi di azione per i cattolici, ma incoraggia la diplomazia pontificia a ridurre le fratture tra gli ex belligeranti e soprattutto la distanza tra l’Europa dell’ovest e l’Europa dell’est separate dalla Cortina di ferro.
Giovanni XXIII, con la sua ricca esperienza di nunzio apostolico, si muove nella logica delle “aperture” sia nei confronti delle Chiese dell’est perseguitate sia nella interlocuzione con gli Stati marxisti. Un lavoro paziente e umile che porterà a quel respiro europeo a due polmoni che richiamerà spesso Giovanni Paolo II, un pontefice venuto proprio dall’est europeo. Un altro segnale di Papa Roncalli viene dalla presenza al Concilio ecumenico vaticano II di 70 vescovi delle Chiese orientali e di due osservatori delle Chiesa ortodossa sempre dell’est europeo.
Il 26 gennaio 1977 Paolo VI, che ha lasciato importanti testi europei, invia una messaggio al Consiglio d’Europa e in questo documento, considerato il suo testamento europeo, scrive: “La tradizione europea è un fatto innegabile, è parte integrante dell’Europa e pertanto non è per nulla fuori luogo dire che all’Europa tocca una responsabilità particolare per testimoniare, nell’interesse di tutti, valori essenziali come la libertà, la giustizia, la dignità personale, la solidarietà, l’amore universale”.
I cristiani non devono dunque abbandonare l’Europa – è il messaggio di Papa Montini, prossimo beato – e Giovanni Paolo II con l’esortazione apostolica post sinodale “Ecclesia in Europa” (2003) scrive: “L’Europa di oggi, nel momento stesso in cui rafforza e allarga la propria unione economica e politica, sembra soffrire di una profonda crisi di valori. Pur disponendo di mezzi accresciuti, dà l’impressione di mancare di slancio per nutrire un progetto comune e ridare ragioni di speranza ai suoi cittadini”. Ma Karol Wojtyla conclude, parlando all’Europa come a una persona: “Non temere!”, “Abbi fiducia!”, “Sii certa!”.
È la volta di Benedetto XVI, che il 22 settembre 2011, rivolgendosi al Parlamento tedesco, afferma: “La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma, dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa”. L’anno precedente a Santiago di Compostela, Papa Ratzinger aveva affermato: “L’Europa della scienza e delle tecnologie, l’Europa della civilizzazione e della cultura, deve essere allo stesso tempo l’Europa aperta alla trascendenza e alla fraternità con altri continenti, al Dio vivo e vero a partire dall’uomo vivo e vero. Questo è ciò che la Chiesa desidera apportare all’Europa: avere cura di Dio e avere cura dell’uomo, a partire dalla comprensione che di entrambi ci viene offerta in Gesù Cristo”.
Le tracce lasciate da chi precede sono un riferimento prezioso per chi segue e incoraggiano a compiere passi di libertà, responsabilità e novità. Le tracce europee lasciate a Papa Francesco dai suoi predecessori sono segni di un amore infinito per gli uomini, per i popoli e per il territorio dove vivono. Con l’intelligenza dell’amore dei predecessori, che oggi si confronta con le attese e le sfide del tempo, Francesco prenderà la parola al Parlamento europeo. Dirà con la novità delle parole eterne quale è il contributo specifico che oggi una Chiesa in uscita è chiamata a offrire alla costruzione della casa comune europea.
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