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In Guinea Bissau rimosso il generale golpista

GuineaDi Davide Maggiore
“Quel che va sottolineato, nell’intera vicenda, è che si tratta di qualcosa che il presidente aveva il potere di fare, secondo le regole dello stato di diritto e democratico: bisogna evitare che questo episodio normale diventi come una ferita che s’infetta, perché il Paese è fragile”. A parlare, dalla capitale della Guinea Bissau, è monsignor José Lampra Cà, vescovo ausiliare proprio della diocesi di Bissau. Il provvedimento a cui si riferisce è la rimozione, il 16 settembre, del capo di stato maggiore, il generale Antonio Indjai, da parte del presidente della Repubblica, José Mario Vaz. Quando a maggio l’esponente dello storico partito di governo Paigc era stato eletto presidente sconfiggendo nettamente al ballottaggio Nuno Gomes Nabiam, considerato vicino ai militari, Indjai si era affrettato a dichiarare la sua fedeltà al capo di Stato. Tuttavia, negli anni precedenti il generale era stato protagonista di ben due sollevazioni, entrambe le volte ai danni di un esponente del Paigc: nel 2010 aveva fatto catturare il premier Carlos Gomes Júnior ed esattamente due anni dopo, ad aprile 2012, aveva preso parte al golpe dell’esercito – da sempre una forza rilevante nella politica della Guinea Bissau indipendente – per impedire lo svolgimento del secondo turno delle presidenziali, che proprio Gomes Júnior si avviava a vincere.
Accuse di narcotraffico. Non erano però solo le nuove autorità civili guineane – elette dopo due anni di transizione – a diffidare del potente Indjai, ora sostituito nel ruolo da un altro alto ufficiale, Biague Na Ntan: come altri leader delle forze armate, infatti, il generale era ricercato dall’Interpol per coinvolgimento nel traffico di droga internazionale tra Europa e Sudamerica, di cui l’ex Guinea portoghese è considerata uno snodo strategico. “Di narcotraffico non si parla molto tra i guineani, anche se molti ne sono a conoscenza”, spiega però Sara Gianesini, responsabile Paese di Engim Internazionale, ong legata ai missionari Giuseppini del Murialdo. Allo stesso modo “la popolazione ha reagito positivamente alla destituzione di Indjai, ma senza manifestazioni eclatanti”, testimonia la cooperante italiana. In diversi, continua “riconoscono a Vaz di aver preso una decisione giusta, per altri però restano più importanti le necessità della vita quotidiana e i problemi dello sviluppo, come ad esempio lo stato delle strade”, rese ancora più precarie del normale dalla recente stagione delle piogge. “La priorità è ricostruire il Paese e questo passa innanzitutto per il rispetto delle regole dello stato di diritto”, sottolinea anche mons. Lampra Cà. Perché ciò avvenga, spiega il presule “c’è bisogno di collaborare con le autorità e con le forze sociali” allo scopo di “rendere possibile una convivenza pacifica”.
La Chiesa: mettere al centro la dignità umana. In particolare, la principale preoccupazione della Chiesa locale è quella di far passare il messaggio che “l’uomo ha una sua dignità e nessuna azione può giustificare il ridurre le persone a strumenti oppure oggetti”, come avvenuto durante i molti anni di instabilità e violenze che il Paese ha affrontato nella sua storia, spiega ancora mons. Lampra Cà. La Chiesa quindi, prosegue il vescovo ausiliare di Bissau “lavora per aiutare l’uomo a recuperare la sua dignità e anche intervenire sul piano politico-sociale senza scendere sul piano delle differenze dei partiti”. Al momento, sottolinea da parte sua Sara Gianesini, il clima di entusiasmo che aveva caratterizzato le elezioni non si è spento: “La popolazione confida nel governo”. La speranza è dovuta soprattutto al fatto che le consultazioni si sono svolte “in maniera democratica” dopo anni pieni di difficoltà. A incidere positivamente sono anche alcune promesse di Vaz, come “il pagamento degli stipendi arretrati dei dipendenti pubblici”. Per realizzarle, però, occorrono risorse: alcune potranno arrivare dal prestito di 4 milioni di euro concesso dal fondo monetario internazionale, preludio di un programma di aiuti lungo tre anni. Una decisione che, sottolineano vari analisti internazionali, forse non a caso è arrivata pochi giorni dopo la rimozione del poco affidabile generale Indjai.