“Yes means yes”. La California prova a fare sul serio con una legge a tolleranza zero contro le violenze sessuali nei college. Una piaga che supera i confini nazionali, ma è il Golden State a fare da apripista. Nei giorni scorsi perfino Barack Obama si era schierato in prima linea contro gli stupri nei campus che evidentemente non sono proprio quel sano mix di studio e sport, allegria e cameratismo, libertà e impegno, feste e vita all’aria aperta che da decenni serial televisivi ci hanno propinato con una buona dose di retorica e affrontando con insostenibile leggerezza temi delicati come alcol, droga, aids, sessualità. Campus Usa, insomma, modello da esportare, guardato con invidia e vagheggiato da tanti teenager nostrani.
La realtà è un po’ diversa, pare non si tratti di ambienti cosi friendly e sicuri se, come dice Obama, una donna su cinque è stata aggredita sessualmente durante gli anni del college, di queste violenze solo il 12% è stato raccontato, e solo una parte dei colpevoli è stata punita. Secondo uno studio della University of Massachusetts-Boston, e qui siamo sulla East Coast, il 6% degli studenti maschi ha commesso uno stupro, la maggioranza lo ha fatto più di una volta, rimanendo impunito. La legge approvata ieri a Sacramento, che obbliga le università ad avviare serie indagini sulle denunce di stupro, stabilisce che occorre un consenso chiaro perché l’atto sessuale non costituisca violenza. È già una prima forma di tutela, ma che consenso può dare o che tipo di autodifesa può attivare una ragazza ubriaca o sotto l’effetto di droghe?
Va bene disarmare l’intollerabile prepotenza del maschio (magari alterato da sostanze) convinto che ogni giovane donna, soprattutto se in apparenza un po’ disinibita, ci possa “stare”, ma uno strumento coercitivo non basta. Forse occorrerebbe scendere più in profondità, anche alla luce degli “hook-up”, la diffusione delle relazioni usa e getta, improntate quasi unicamente alla “esplorazione sessuale”, contro le quali l’organizzazione cattolica “Love and fidelity network” ha lanciato nelle scorse settimane un’iniziativa.
Forse dopo l’ubriacatura sessantottina del “vietato vietare” e della “rivoluzione sessuale” è tempo di dire stop alle semplificazioni e alla banalizzazione del sesso, e di dire qualcosa di più serio sulla persona umana, sull’amore, sulla fatica e la bellezza di una relazione degna di questo nome. E non è roba d’altri tempi; roba d’altri tempi è semmai quel ‘68.

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