Gideon F. De Wit – Sir Europa (Paesi Bassi)
Confini da attraversare, muri da abbattere, nuovi ostacoli da superare. Nella storia dell’integrazione europea si riscontrano sfide e problemi ciclici che accompagnano il tormentato processo di avvicinamento dei popoli e degli Stati del vecchio continente. E la cronaca di queste settimane lo conferma.
Così, a pochi giorni del fallito referendum per l’indipendenza della Scozia, è la Catalogna a farsi avanti, insistendo per l’indizione di un voto popolare, da tenersi il 9 novembre, che sancisca la secessione dalla Spagna. Più volte il governo di Madrid è intervenuto per scoraggiare una simile iniziativa, che ha il suo leader in Artur Mas, presidente della regione catalana. Ora si è espressa anche l’Alta corte spagnola: il referendum volto a erigere una frontiera (paradossalmente nel giorno del 25° anniversario della caduta del Muro di Berlino) e dividere il Paese sarebbe un attentato alla Costituzione e, più ampiamente, al bene della nazione iberica. Dietro la richiesta di Mas e di ampia parte della popolazione catalana, ci sono – ammantate da diversità storiche, culturali e linguistiche – le consuete rivendicazioni economiche e qualche egoismo fiscale. Da Bruxelles non sono mancati autorevoli interventi volti a scoraggiare l’iniziativa: l’Unione europea, come aveva già fatto per la Scozia, ha ribadito che in caso di secessione la Catalogna sarebbe fuori dall’Europa, e dunque fuori dall’euro, dal mercato unico, dalla possibilità di usufruire dei sempre appetibili fondi comunitari. La “casa comune” teme queste iniziative indipendentiste non solo per il loro intrinseco valore e per le conseguenze immediate che ne potrebbero derivare, ma perché si rischia un “contagio” in altre regioni già in fermento, presenti un po’ ovunque, dall’Ungheria all’Italia, dalla Romania all’Irlanda fino ai Balcani. Forse il caso Ucraino non ha insegnato abbastanza: secessionismi, nazionalismi e atteggiamenti di rivalsa portano spesso al conflitto. Ne sa qualcosa la Bosnia-Erzegovina, che il 12 ottobre andrà alle urne per le elezioni nazionali in un clima di divisione e di sospetto ereditati dalla sanguinosa guerra degli anni ’90 che, nonostante gli accordi di Dayton, non si è mai veramente risolta.
Pure il caso scozzese lascia sul tavolo qualche insegnamento. In positivo si potrebbe leggere l’accresciuta autonomia che Londra dovrà concedere a Edimburgo, promessa agli elettori a nord del Vallo di Adriano per evitare un plebiscito a favore della secessione: quasi a dire che la voce del popolo è risuonata ottenendo un risultato, seppur parziale. Ma, per converso, si può immaginare che anche le altre regioni del Regno Unito – Inghilterra, Galles, Irlanda del Nord – vorranno far valere il medesimo principio autonomista, ponendo in difficoltà la coesione e la solidarietà all’interno del Paese, a meno di avviare un condiviso processo federalista. Rimane una domanda: se fra i britannici si rafforzerà questo spirito, come voteranno all’eventuale referendum del 2017, promesso dal premier Cameron in caso di sua rielezione per dire sì o no alla permanenza del Regno Unito nell’Ue? Ovvero, la Scozia resta con Londra, ma Londra resterà nell’Unione europea?
Si potrebbe osservare che queste valutazioni pongono in evidenza gli elementi disgregatori rispetto a quanto, anche oggi, tende a unire i Paesi europei. Eppure il voto per il rinnovo parziale del Senato francese ha nuovamente premiato il Front National di Marine Le Pen, altra “predicatrice” del nazionalismo e della rovina dell’Europa comunitaria. E quante altre posizioni, più o meno simili, echeggiano dai quattro angoli del continente?
Probabilmente i risultati – non disastrosi, eppure allarmanti – registrati alle recenti elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento, non hanno insegnato abbastanza alla classe politica e ai cittadini europei.
In questo senso si può leggere l’intensificarsi dei segnali di attenzione che provengono dalla Chiesa cattolica verso il processo di integrazione. Se ne è parlato alle Giornate sociali cattoliche europee di Madrid (18-21 settembre); la questione tornerà certamente a far capolino durante l’Assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa a Roma (2-4 ottobre). E per le stesse ragioni cresce l’attesa per il viaggio di Papa Francesco a Strasburgo (25 novembre), quando Bergoglio si rivolgerà ai rappresentanti dei 500 milioni di cittadini europei attraverso il Parlamento Ue, ovvero l’istituzione che dovrebbe dar voce ai popoli del continente.