Non è questo l’Islam che qui in Europa abbiamo cominciato a conoscere e con il tempo, anche se con fatica, ad apprezzare. Moschee e luoghi di culto sono abitate da uomini e donne miti, da un popolo di lavoratori e persone profondamente radicate in Dio. Uccidere un uomo – insegnano i musulmani – è come uccidere l’intera umanità. Ma uccidere una donna è come soffocare la vita, reprimere il sentimento, negare ogni possibilità di futuro. Il Califfato e i Tribunali iraniani dicono di agire in nome della legge e dell’Islam ma solo alcuni giorni fa 126 saggi musulmani hanno scritto una lunga lettera al Califfo Al-Baghdadi per dire che è vietato nell’Islam uccidere un innocente, torturare i prigionieri, sfigurare i morti, costringere le persone a convertirsi, negare alle donne e ai bambini i loro diritti. La lista dei firmatari comprende imam, gran Mufti, rettori di prestigiose università di tutto il mondo ma anche del Medio Oriente.
No, l’Islam non c’entra nulla con la pazzia dell’omicida. E chi tocca una donna con violenza è una persona debole che ha perso l’anima e senza il cuore ha oltrepassato il limite della sua umanità perdendosi nel nulla di se stesso. Il corpo sfigurato delle donne curde e il volto fiero di Reyhaneh Jabari si aggiungono come in una lunga lista nera ai nomi di Sakineh, Amina, Samira, Asia Bibi. Ma i sedicenti califfi non hanno capito una lezione semplice e banale come semplice e straordinaria è la vita: che chi tocca le donne, ha finito di vivere. Perché dalle donne dipende il destino e il futuro di un popolo e di una civiltà.