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“La famiglia continua ad essere scuola senza pari di umanità”

Di Alessandro Testatonda
Di Alessandro Testatonda

Di Luca Marcolivio

Un momento di festa e, al tempo stesso, di preghiera per tutte le famiglie del mondo e per i padri sinodali che, da lunedì, si metteranno al lavoro per riportare la famiglia al centro della società e per consolidare l’alleanza tra Chiesa e famiglia.

Durante la veglia, promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e tenutasi in piazza San Pietro, papa Francesco ha ascoltato numerose testimonianze di famiglie italiane, alcune delle quali assai commoventi, in un tardo pomeriggio, segnato dalla presenza di almeno 80mila pellegrini.

Nel suo saluto, a nome della CEI, da lui presieduta, il cardinale Angelo Bagnasco ha sottolineato che, sulla famiglia, la Chiesa non intende “combattere alcuna battaglia di retroguardia, né semplicemente di difesa” ma, piuttosto, spendersi fra la gente, “in un contesto che – se sul piano economico parla il linguaggio di una crisi grave perdurante – su quello culturale mette a dura prova motivazioni e scelte di fondo”.

L’episcopato italiano, ha aggiunto il porporato, avverte anche “il peso dell’incertezza e del disagio che attanagliano soprattutto i giovani, ritardando la realizzazione di progetti di vita”, testimoniando la “frammentazione che indebolisce i legami tra le persone, umilia la vita nascente ed emargina gli anziani, con il risultato di impoverire il tessuto dell’intera società”.

Senza rassegnazione, i vescovi italiani, ha proseguito Bagnasco, rinnovano la “responsabilità” del loro servizio che li chiama a “promuovere e far brillare la grandezza e la verità della vocazione umana e del Vangelo del matrimonio e della famiglia”.

Aprendo il suo discorso, papa Francesco ha salutato l’ora crepuscolare in cui si è svolta la veglia come il momento in cui “si fa volentieri ritorno a casa per ritrovarsi alla stessa mensa, nello spessore degli affetti, del bene compiuto e ricevuto, degli incontri che scaldano il cuore e lo fanno crescere, vino buono che anticipa nei giorni dell’uomo la festa senza tramonto”.

Al tempo stesso il momento di rincasare è anche “l’ora più pesante per chi si ritrova a tu per tu con la propria solitudine, nel crepuscolo amaro di sogni e di progetti infranti: quante persone trascinano le giornate nel vicolo cieco della rassegnazione, dell’abbandono, se non del rancore”.

In molte case, ha proseguito il Papa, “è venuto meno il vino della gioia e, quindi, il sapore — la sapienza stessa — della vita… Degli uni e degli altri questa sera ci facciamo voce con la nostra preghiera”.

È significativo, tuttavia, come, anche nella “cultura individualista che snatura e rende effimeri i legami”, permanga “un bisogno essenziale di stabilità, di una porta aperta, di qualcuno con cui intessere e condividere il racconto della vita, di una storia a cui appartenere”.

In questo scenario, “la famiglia continua ad essere scuola senza pari di umanità, contributo indispensabile a una società giusta e solidale”. Più le radici della famiglia sono profonde, “più nella vita è possibile uscire e andare lontano, senza smarrirsi né sentirsi stranieri ad alcuna terra”.

Il “convenire unum” attorno al Vescovo di Roma, ha osservato Francesco, è un “evento di grazia, nel quale la collegialità episcopale si manifesta in un cammino di discernimento spirituale e pastorale”.

Per ricercare ciò che “oggi il Signore chiede alla Sua Chiesa, dobbiamo prestare orecchio ai battiti di questo tempo e percepire l’«odore» degli uomini d’oggi, fino a restare impregnati delle loro gioie e speranze, delle loro tristezze e angosce: a quel punto sapremo proporre con credibilità la buona notizia sulla famiglia”.

È poi nel Vangelo, ha sottolineato, che si riscontrano “una forza e una tenerezza capaci di vincere ciò che crea infelicità e violenza” ma soprattutto “la salvezza che colma i bisogni più profondi dell’uomo”. Se così non fosse, la Chiesa si ridurrebbe a “un castello di carte e i pastori si ridurrebbero a chierici di stato, sulle cui labbra il popolo cercherebbe invano la freschezza e il profumo del Vangelo”.

Per i padri sinodali, il popolo di Dio chiede innanzitutto “il dono dell’ascolto” di Dio “fino a sentire con Lui il grido del popolo”, nonché l’“ascolto del popolo”.

Al tempo stesso è necessaria la “disponibilità a un confronto sincero, aperto e fraterno, che ci porti a farci carico con responsabilità pastorale degli interrogativi che questo cambiamento d’epoca porta con sé. Lasciamo che si riversino nel nostro cuore, senza mai perdere la pace, ma con la serena fiducia che a suo tempo non mancherà il Signore di ricondurre a unità”.

Il “terzo dono” che imploriamo con la nostra preghiera è uno “sguardo”, che va mantenuto “fisso su Gesù Cristo”, nella “adorazione del suo volto”. Se assumeremo il “modo di pensare, di vivere e di relazionarsi” di Gesù “non faticheremo a tradurre il lavoro sinodale in indicazioni e percorsi per la pastorale della persona e della famiglia”, ha detto papa Francesco.

“A quel punto – ha proseguito – il nostro ascolto e il nostro confronto sulla famiglia, amata con lo sguardo di Cristo, diventeranno un’occasione provvidenziale con cui rinnovare – sull’esempio di San Francesco – la Chiesa e la società”.

Sarà la “gioia del Vangelo” che ci farà ritrovare “il passo di una Chiesa riconciliata e misericordiosa, povera e amica dei poveri”, ha detto il Papa, prima dell’invocazione finale: “Possa soffiare il Vento della Pentecoste sui lavori sinodali, sulla Chiesa, sull’umanità intera. Sciolga i nodi che impediscono alle persone di incontrarsi, sani le ferite che sanguinano, riaccenda la speranza”.