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– Il colore prima del blu – Puntata 1
– Il colore prima del blu – Puntata 2
– Il colore prima del blu – Puntata 3
– Il colore prima del blu – Puntata 4
– Il colore prima del blu – Puntata 5
– Il colore prima del blu – Puntata 6
– Il colore prima del blu – Puntata 7
– Il colore prima del blu – Puntata 8
– Il colore prima del blu – Puntata 9
– Il colore prima del blu – Puntata 10
– Il colore prima del blu – Puntata 11
– Il colore prima del blu – Puntata 12
– Il colore prima del blu – Puntata 13
– Il colore prima del blu – Puntata 14
Sono davanti ad Anna: posizione strategica quella del controluce per chi vuole osservare senza essere visto. L’ho imparato, da piccolo, al cinema, guardando il pubblico invece dello schermo. Mio padre mi ci portava spesso e io, che ancora non apprezzavo i film, mi divertivo a osservare i volti delle persone. Scoprivo espressioni attonite e infantili. Il volto di Anna si schiarisce alla luce dei fuochi, il mio è in penombra. Ascolto i suoi commenti bisbigliati ai tre ragazzini. Si interrompe solo a una nuova formazione di luci. Lo stupore non è in cielo, ma in acqua. Il mare arde di luci. Specchio perfetto. Io lo ritrovo negli occhi di Anna. Sembra che abbia freddo. L’umidità notturna entra nelle ossa. Un ragazzino le presta un asciugamano, si coprono insieme. Mi giro per non guardare la scena e alzando gli occhi al cielo scopro il buio immerso tra i fuochi. Anche se ci fosse tanta luce, ci sarebbe sempre uno spazio buio dove fissare gli occhi ed è lì che spesso finisce il mio sguardo. Il ragazzino le parla delle case abbandonate, case vecchie di almeno un secolo. Anna fa domande, chiede spiegazioni. Il ragazzino inventa storie su un passato che non conosce. Le racconta della casa esplorata con me. Le parla di me! Mi dipinge come un codardo: ho avuto paura, non volevo andare con loro. Dice che mi hanno costretto; ho aperto la finestra per paura del buio; sono scappato con la scusa del lavoro… Vorrei alzarmi, andare da lui e tirargli via il sangue come si fa a un tonno in una mattanza. Freno la mia ira stringendo sabbia umida tra le mani, la lascio scivolare e si porta via con sè il veleno dei miei nervi. Anna sorride imbarazzata. Cambia discorso, vuole sapere se conosce qualche persona che può aiutarla a cercare la casa dei suoi parenti. Il ragazzino si finge interessato, le chiede spiegazioni, le propone una visita in una casa abbandonata dove ci sono tanti libri antichi, là potrebbe trovare sicuramente qualcosa di utile per la sua ricerca. Anna non è convinta, la trova un’idea infantile. Alla fine si alza e raggiunge i suoi genitori. Discutono, Anna indica i ragazzini. ‹‹Tra un’ora devi stare in hotel,›› le ordina la madre. Continuo a seguirla con lo sguardo. I fuochi sbiadiscono, un ultimo botto prima che si consumi l’ultima luce cadente e torni il buio. Si fa fatica a ritrovare la strada di casa. Mio padre era il fotografo del paese. Dopo la festa, nonostante l’ora tarda, sono passato a casa mia per prendere alcune cose. Sono entrato nel suo studio. È rimasto tutto come un anno fa. Una vecchia macchinetta fotografica è appesa all’appendiabiti, sulla scrivania c’è polvere, una gigantografia in bianco e nero del volto di mia madre addolcisce la stanza. Apro il suo archivio. La prima foto è di un orso polare che aggredisce l’obiettivo. Era stato definito dai giornali nazionali l’ultimo esploratore dell’era moderna. Stava fuori per mesi, mio padre, alla ricerca di scatti impossibili. Lavorava per grandi riviste nazionali, ma la sua era passione. Una passione che io e mia madre pagavamo con la sua assenza. Quando ero più piccolo, mia madre mi metteva seduto sulla finestra, guardavamo la strada al tramonto e mi diceva: ‹‹Stai a vedere che questa sera papà torna.›› Ho imparato fin da piccolo il senso della parola “attesa”: scoperta di una mancanza. L’attesa è un insonne brivido prolungato. Chiudo il libro sul cinema che mi ha regalato Filì il rigattiere e lo metto dentro al cassetto. Spengo la luce, e tra le lenzuola il mio corpo si agita cercando il sonno. I rumori della festa non si spengono ancora nel mio animo, sento le gambe rigide. Cerco di spegnere i pensieri e di cacciar via le immagini della serata. Mi giro su un lato. Apro gli occhi. Il fermacapelli di Anna è illuminato da un timido raggio lunare che si posa sul comodino. Lo prendo per l’ennesima volta tra le mani. Sa del suo profumo. Mia madre dice che nei profumi sono nascosti i ricordi più belli, quelli che non si cancellano. Anche se sembrano svaniti nell’aria, i ricordi, grazie ai profumi tornano freschi. È per questo che bisogna respirare a polmoni pieni ogni attimo della nostra vita. Ora, però, desidero pensare a domani. Nascondo il fermacapelli tra le mani, provo un gioco di prestigio che tuttavia non farò ad Anna: non sono un tipo sbruffone, io. Le dirò, invece, che l’ho trovato e conservato per restituirglielo. Quando diventeremo amici la porterò alla Caletta degli innamorati, quella sotto al faro. Forse sto correndo troppo. Chissà se questo è un sogno… Che consistenza hanno i sogni?