“Non è molto chiaro cosa sia successo effettivamente nell’ospedale di Voghera: quello che riportano i giornali, l’infermiera che convince due ventenni a rinunciare a prendere la pillola del giorno dopo, sembra una forzatura”. Si dice perplesso al Sir Mario Morello, presidente dell’Acos (Associazione cattolica operatori sanitari), classe ‘60, diventato medico dopo aver svolto per anni l’attività di infermiere, riguardo alla vicenda venuta alla ribalta prima sui giornali locali e poi sui nazionali. “Bisogna tener conto – spiega al Sir – che quando una persona si presenta in pronto soccorso, la competenza specifica dell’infermiere è fare ‘triage’, cioè accogliere i pazienti e suddividerli per gravità in base alla quale si inviano al medico in pronto soccorso. Se, nel caso specifico, l’infermiera davvero ha convinto le ragazze ad andarsene, lo ha fatto a livello personale e non istituzionale. Infatti, la pillola del giorno dopo non è una richiesta, è una prescrizione, che spetta al medico, anche perché è un medicinale non esente da rischi e da controindicazioni”.
Limiti di azione. La domanda, allora, sorge spontanea: quali sono gli ambiti operativi di un infermiere, oltre i quali non può andare, se vuole evitare un procedimento disciplinare? “È un problema di competenze – chiarisce il dottore -. In Italia l’unica circostanza in cui l’infermiere ha diritto all’obiezione di coscienza si rifà alla normativa sull’interruzione di gravidanza, quindi alla legge 194, ma anche in questo caso limitatamente all’atto operatorio. Questo significa che nel pre-operatorio e nel post-operatorio non si può fare obiezione di coscienza. Questo vale anche per i medici e non solo per gli infermieri”. E in altri casi delicati in cui un domani un infermiere potrebbe trovarsi coinvolto, come la fecondazione eterologa? “In questo caso ancora non c’è la normativa, quindi – evidenzia Morello – ancora non si può ipotizzare un’eventuale obiezione di coscienza riguardante tali casi. Al contrario, è già prevista per l’intervento di chiusura delle tube, anche se pure qui ci si rifà a una normativa che risale alla legge 194”.
Questione di competenze. Per il presidente dell’Acos, spesso si fa un po’ di confusione su quello che l’infermiere può o non può fare. “In realtà – dice -, l’infermiere, per definizione, ha la responsabilità di assistenza infermieristica e la competenza sulla gestione della persona ammalata. Quindi, nella fattispecie della pillola del giorno dopo, dobbiamo tener conto di vari elementi. Il primo è che ci sono due tipi: c’è la pillola del giorno dopo (Norlevo) e quella dei cinque giorni dopo. L’infermiere può anche dare informazioni generali, per esempio sugli effetti collaterali, ma la competenza della diagnosi, della terapia e della prognosi, con la conseguente prescrizione di medicinali, è esclusivamente del medico. Quindi, l’infermiera di Voghera non può aver detto alle ragazze che l’ospedale non avrebbe dato la prescrizione. Infatti, dare la pillola del giorno dopo, in base alle norme vigenti in Italia, rientra nel fare diagnosi e terapia”. Più che per gli infermieri, nel caso della pillola del giorno dopo, il problema si presenta per i farmacisti, fa notare Morello: “Se un medico la prescrive, il paziente la va ad acquistare in farmacia. Si sta valutando se per i farmacisti cattolici c’è la possibilità di fare obiezione. Per loro, per ora, in Italia non è prevista questa possibilità, anche se adesso sta crescendo il dibattito”.
La questione della Ru486. Mentre la pillola del giorno dopo non si assume in ospedale, diversa è la questione della Ru486, la cosiddetta “pillola abortiva”, per la quale “subentrerà un problema di obiezione di coscienza per tre categorie: infermieri, operatori socio-sanitari e operatori socio-sanitari specializzati. Per la Ru486, è prevista, infatti, prima la somministrazione di una pillola e a distanza di tre giorni di un farmaco intramuscolare. Queste due somministrazioni avverranno in ospedale. Siccome siamo ancora in fase sperimentale di Ru486, il problema di obiezione di coscienza – avverte Morello – non è stato ancora risolto. Ma non ci sono dubbi che in questo caso, essendoci l’intervento diretto dell’infermiere e degli altri operatori socio-sanitari, si crea un problema etico”. In genere, “un infermiere che fa obiezione di coscienza non viene messo in un reparto dove si fanno aborti e chiusure di tube. Quindi, finora, in Italia la questione si è risolta un po’ con un ‘fai da te’”.
Mancano numeri ufficiali. Ci sono dei numeri ufficiali degli infermieri obiettori? “È estremamente difficile dare un numero – ammette il presidente dell’Acos – perché non sono pubblicati. Sono semplicemente riconosciuti dalle Usl. I medici, come me obiettori, devono inviare una lettera raccomandata al direttore generale dell’Usl e al presidente dell’Ordine dei medici a cui sono iscritti. L’obiezione inizia a trenta giorni dalla comunicazione. Gli infermieri, invece, devono comunicare alla Direzione generale dell’ospedale in cui lavorano. È difficile, perciò, avere dei dati globali”. Per quanto riguarda gli infermieri cattolici, “ne sono iscritti all’Acos circa 1.500. Ma gli infermieri cattolici negli ospedali – assicura Morello – sono molto di più di quelli iscritti all’Acos e come tali si qualificano nei nosocomi”. Anche in questo caso non si riesce a quantificare con certezza: “Da quello che si sente in giro negli ospedali – dichiara il dottore – ci attestiamo intorno al 10-15% del totale degli infermieri, ma non sono dati ufficiali”.