C’è un antico proverbio, presente in alcune società rurali, che recita: “Solo le mucche non cambiano idea”. Certo, siamo lontani dal Dolcestilnovo, ma la frase, carica di sapienza contadina, sostanzialmente significa che, di fronte all’evidenza, il mutar parere, l’addivenire a una convinzione più ragionevole, è tipica di tutti gli esseri intelligenti. Da questi, chissà perché, il proverbio esclude però il mite bovino.
Così accade – facendo le debite proporzioni e al di là di ogni parallelismo zootecnico – a Barcellona, dove i quattro partiti che da tempo miravano all’indipendenza dalla Spagna mediante il ricorso al voto popolare, hanno deciso di cambiare strada. Artur Mas, presidente della Catalogna, campione del secessionismo locale, dopo il no della Corte costituzionale a un referendum definito “illegittimo”, ha finalmente dichiarato che occorrerà trovare un’altra strada, innescando un differente “processo di partecipazione popolare”, per assegnare alla produttiva regione del nord est spagnolo (una sorta di Veneto iberico) quella autonomia che i cittadini reclamano e che, appunto, taluni partiti da tempo cavalcano. La Catalogna – è questo il leit motiv – ha una sua storia, una sua lingua, una sua economica (che marcia meno peggio di quella nazionale): perché dunque pagare le tasse per castigliani e andalusi, galiziani o valenziani? A ciascun la sua paella, a ciascuno le sue ricchezze…
Pare che al referendum vero e proprio si voglia sostituire una “consultazione”, una sorta di “sondaggione”, con tanto di urne e di schede, per saggiare la volontà del popolo. Ma su questo punto il fronte secessionista deve ancora trovare un accordo.
Naturalmente la questione è complessa, anche perché contro il voto catalano s’erano già espressi il governo centrale, guidato dal popolare Mariano Rajoy, e la Commissione europea che, in base ai Trattati, aveva detto chiaramente: chi attua la secessione da un Paese Ue è automaticamente fuori dall’Unione europea.
Sulla questione potrebbe aver pesato anche il fallito referendum scozzese: la Caporetto dei secessionisti in kilt forse ha indotto Mas e compagni a fare retromarcia.
Suonava peraltro antipatico ai più il fatto che il referendum si sarebbe dovuto svolgere il 9 novembre 2014, esattamente nel venticinquesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino: quasi a dire, in catalano stretto, che “la Storia abbatte i muri, a Barcellona li ricostruiamo”.
Come andrà a finire la faccenda non è dato di sapere. Certo è che la prudente e ragionevole posizione assunta dai leader della Catalogna dovrebbe indurre molti, in Europa, a riflettere sui nazionalismi, i regionalismi, i secessionismi, i divisionismi, e tutti quegli “ismi” che puntano a dividere anziché a unire. “Ismi” che anche in Italia trovano non di rado terreno fertile.