“Le nostre famiglie appartengono a un sistema tribale. Amiamo i figli. Sono una ricchezza, una benedizione di Dio. I nostri problemi sono di natura materiale, di sussistenza. Se ci fossero politiche adeguate di sostegno alle famiglie avremmo risolto parte importante dei nostri problemi. Abbiamo famiglie con 10 figli e in queste famiglie abbondano le vocazioni. Il nostro seminario è gremito”. A far udire la voce delle famiglie di Terra Santa al Sinodo sulla famiglia, in corso in Vaticano, è il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal. A pesare sul futuro della famiglia nei Luoghi Santi non sono le separazioni, i divorzi, le unioni di fatto o la comunione ai divorziati, ma l’occupazione militare, la povertà, il Muro e le leggi inique. E adesso anche la paura di un fondamentalismo islamico che non si fa scrupolo di uccidere chi non si sottomette o si converte.
Patriarca, quali sono le principali sfide che le famiglie della Terra Santa si trovano ad affrontare e che ha illustrato al Sinodo?
“Innanzitutto la situazione politica. Il muro di separazione, lungo 730 km, esistente dal 2003, è uno dei maggiori fattori di separazione tra le famiglie, le parrocchie e rovina l’atmosfera di famiglia e di buon vicinato. L’occupazione militare e la cultura della violenza e della morte impediscono ai nostri giovani di formare una famiglia serena. Poi la situazione economica. Gli uomini spesso emigrano, lasciando moglie figli e anziani a casa. Vorrei aggiungere, poi, la legge israeliana (Citizenship and entry into Israel Law), che impedisce la riunificazione delle famiglie palestinesi: ogni palestinese di Gerusalemme che si sposa con un partner da fuori Gerusalemme deve lasciare la Città Santa per poter vivere con il proprio consorte. È una politica chiara per svuotare la Città Santa degli arabi. L’emigrazione dei cristiani è una delle conseguenze di tutto questo stato di cose”.
Quanto è presente il fenomeno di separazioni e divorzi tra le famiglie cristiane?
“Quando si verificano malintesi tra congiunti, capita che uno dei due, o anche entrambi, cambi l’appartenenza confessionale per ottenere il divorzio dal tribunale ortodosso e tornare a sposarsi. Questa situazione diventa sempre più frequente, purtroppo. A questo si aggiunga che il ritardo dei nostri tribunali locali e romani, relativi alle cause matrimoniali, fa sì che i coniugi, stanchi di aspettare una risposta, cambino confessione e finiscano per risposarsi fuori della Chiesa cattolica”.
Quali sono le proposte che ha portato al Sinodo?
“Per prima cosa l’istituzione di centri pastorali per la famiglia nelle parrocchie, laddove possibile. Va incentivata, poi, la formazione dei fedeli. In Oriente, dove non esistono le ‘unioni di fatto’, o esistono in modo molto limitato, il Sacramento del matrimonio ci chiede di lavorare di più alla formazione degli sposi, affinché il matrimonio sia considerato come una vera vocazione di Dio e dunque una scelta libera. Abbiamo bisogno di una vita normale, senza violenza”.
Una vita normale e senza violenza è un sogno. Davanti abbiamo guerre ultradecennali e un fondamentalismo religioso crescente che acuisce un senso di abbandono che spesso lei ha denunciato…
“Non dico che non ci sia solidarietà nei nostri confronti. Abbiamo tantissimi amici che ci aiutano e sostengono. Ciò che voglio denunciare è l’indifferenza politica mondiale nei nostri riguardi. Quando chiediamo aiuto ci sentiamo umiliati, quando chiediamo un incontro e non abbiamo risposta. Anche qui a Roma. La soluzione del conflitto israelo-palestinese sembra non essere più una priorità soprattutto per gli Usa. Lo è invece quella economica all’interno degli States. Gli Stati Uniti si muovono quando i loro interessi vengono toccati. Lo vediamo oggi con il fanatismo religioso dell’Is”.
Papa Francesco sembra essere l’unica voce globale ascoltata. Gli appelli alla pace e alla solidarietà verso la minoranza cristiana sono il segno tangibile della sua preoccupazione. E il 20 ottobre ha convocato anche un Concistoro ad hoc…
“Il Papa da solo, senza le Conferenze episcopali del mondo, rimane una voce. Il Vaticano e la Santa Sede sono più forti e ascoltati quando le Conferenze episcopali del mondo parlano insieme e con la stessa voce. La recente riunione dei nunzi in Medio Oriente e il prossimo Concistoro vanno proprio in questa direzione. Chi ha cuore e senso di responsabilità saprà cosa fare e come muoversi”.
A settembre del 2015 i presidenti delle Conferenze episcopali europee saranno per la prima volta a Gerusalemme per la loro assemblea. Che significato dare a questa scelta?
“Tutte le Conferenze episcopali europee saranno coscienti della situazione sul terreno, sapendo che questa Chiesa madre di Gerusalemme è anche la loro, che qui sono piantate le radici delle Chiese e spero che prenderanno sempre più a cuore le sorti di questa terra provvedendone ai suoi bisogni materiali e spirituali. Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, è stato tra coloro che maggiormente ha appoggiato la nostra richiesta di ospitare l’incontro del Ccee nella Città Santa e per questo gli siamo molto grati”.
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