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La versione di Grisham sulla pedopornografia

Di Rino Farda

Diceva Liliana Cavani che pecchiamo più per le parole dette che per il resto. È successo anche allo scrittore americano John Grisham, autore di romanzi legal thriller venduti in tutto il mondo. In una sciagurata intervista al “Daily Telegraph”, lo scrittore ha difeso i consumatori occasionali di pedopornografia. “Abbiamo le prigioni piene zeppe di gente della mia età. Maschi bianchi di sessant’anni, in prigione, che non hanno mai fatto male a nessuno, che non toccherebbero mai un bambino. Ma vanno su Internet una sera, iniziano a navigare, probabilmente dopo aver bevuto troppo o roba del genere, e premono il bottone sbagliato, vanno troppo in là, e finiscono su porno minorile, amen”. Le polemiche suscitate in tutto il mondo hanno indotto Grisham a una parziale ritrattazione. “Chiunque faccia del male a un bambino per profitto o per piacere, o chi partecipi in qualsiasi forma ad attività pedopornografiche – online o altro – deve essere punito applicando a pieno la legge. I miei commenti di due giorni non intendevano in alcun modo esprimere compassione verso chi è condannato per crimini sessuali”, ha detto alla stampa per placare il fuoco delle contestazioni.
Anche in Italia, alcuni anni fa, c’erano state dichiarazioni simili ma la cosa non aveva sollevato lo stesso clamore. In uno dei suoi ultimi editoriali su “La Stampa”, la giornalista Lietta Tornabuoni aveva affrontato il medesimo tema. Il tono e le argomentazioni però avevano un altro taglio. Secondo la Tornabuoni i consumatori di pornografia e di pedopornografia non dovrebbero essere perseguiti perché altrimenti si metterebbe in discussione l’articolo 21 della nostra Costituzione e il principio stesso della libertà di stampa. Non ci furono reazioni allora. Solo qualche sporadica e solitaria voce. La sensibilità pubblica non era ancora così sviluppata come ora.
Di tutt’altro tenore le frasi di Grisham, più naif e meno argomentate: “Non hanno fatto del male a nessuno, ok? Meritano un qualche tipo di punizione, ok. Ma dieci anni in prigione? E ce ne sono così tanti, così tanti colpevoli di reati sessuali, che li mettono tutti nella stessa prigione, come se fossero un mucchio di pervertiti o qualcosa del genere. Migliaia. Siamo diventati matti con questa storia del carcere”.
Nonostante il tono delle argomentazioni di Grisham sia più semplicistico e meno pensato di quello usato dalla Tornabuoni, le sue dichiarazioni hanno rivelato all’opinione pubblica mondiale che il dibattito negli Usa non è poi così chiaro e trasparente. Nonostante la buona volontà della maggioranza.
Secondo i più, infatti (e per fortuna), scaricare pornografia minorile significa rendersi complice di un crimine efferato che ha molte vittime. Sul set di ogni foto o filmato ci sono minori che hanno veramente subìto una violenza. Per questo motivo il codice attribuisce un’attenzione così grave al consumo di pedopornografia. La visione di quel materiale ha come effetto la moltiplicazione e la reiterazione del reato. Il “New York Times Magazine” ha raccontato la storia di una ragazza di nome Nicole, violentata a nove anni da un parente che poi caricò il video su internet, perché altri pedofili potessero vederlo. Negli ultimi quindici anni la lunghezza delle pene per chi commette reati legati alla pedopornografia è aumentata del 500 per cento.
L’anno scorso però una commissione americana apposita, presieduta dalla giudice del Massachussetts Patti Saris, ha stabilito che le linee guida per la pornografia minorile sono superate. “A causa dei cambiamenti nell’utilizzo delle tecnologie legate a Internet, l’attuale struttura che regola le pene necessita di una revisione. Chi commette crimini nell’ambito della pedopornografia può comportarsi in una serie di modi che riflettono diversi gradi di colpevolezza e di pericolosità sessuale, che non sono al momento tenuti in considerazione dalle linee guida”. Una crepa pericolosa che potrebbe rimettere in discussione l’intera normativa.

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