I cattolici “sono chiamati a essere artefici di pace e di riconciliazione” e non devono “cedere alla tentazione di cercare di farsi tutelare o proteggere dalle autorità politiche o militari di turno per ‘garantire’ la propria sopravvivenza”. Lo ha detto il cardinale Pietro Parolin durante il Concistoro sul Medio Oriente che si è tenuto il 20 ottobre in Vaticano. Un monito forte che si potrebbe leggere anche come una denuncia di un certo atteggiamento un po’ troppo ossequioso di alcune Chiese verso regimi militari della Regione (Iraq, Siria, Libia, Egitto…). Siamo forse davanti ad un chiaro cambiamento di rotta della diplomazia vaticana in Medio Oriente soprattutto adesso che le persecuzioni dello Stato Islamico verso i cristiani e le altre minoranze si fanno sempre più violente? Ne abbiamo parlato con monsignor David-Maria A. Jaeger Ofm, esperto di rapporti Chiesa-Stato in Terra Santa e nella regione ma anche osservatore di lungo corso degli avvenimenti in questa tormentata area del mondo.
Monsignor Jaeger, questo monito ha davvero il sapore della novità nella diplomazia vaticana in Medio Oriente?
“Vi si vede rispecchiato il discorso tenuto l’11 dicembre 1993 da san Giovanni Paolo II ai partecipanti al Convegno romanistico-canonistico della Pontificia Università Lateranense. Già in quel discorso il Papa prevedeva e caldeggiava un profondo cambiamento nel rapportarsi dei cristiani alla società generale, il passaggio da comunità bisognose di speciale protezione allo statuto di cittadini pienamente pari a tutti gli altri, che con eguali diritti partecipino alla costruzione di società libere e responsabili. Tale nuova visione del rapportarsi dei cristiani, e della Chiesa, alla società nei Paesi dell’Est mediterraneo si vede quasi subito espressa nei trattati fatti dalla Santa Sede con Israele (30.12.1993) e Palestina (15.02.2000). Era certamente, com’è una certa ‘novità’ rispetto a tanti secoli passati. Direi una novità innanzitutto ‘ecclesiale’ perché mirante al pieno recupero della consapevolezza dell’identità propria della Chiesa, comunità dei credenti in Gesù Cristo, non una specie di ‘minoranza’ separata dal corpo sociale. Poi la si vede recepita e particolareggiata nell’Esortazione Apostolica, ‘Ecclesia in Medio Oriente’ di Benedetto XVI, che raccoglie e promulga, per così dire, la riflessione delle stesse Chiese del Medio Oriente raccolte nell’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi del 2010”.
Non si può negare che il discorso del cardinale Parolin, denunci con chiarezza “la tentazione” delle Chiese della regione di “farsi tutelare o proteggere” dai regimi militari di turno…
“Non credo possa essere giusto leggerlo proprio in questi termini. Certamente, i cambiamenti di governi e regimi in tempi recenti, e la quasi endemica instabilità che ne è seguita in certe parti della regione, avrebbero evidenziato una verità proclamata già nella Scrittura, e cioè di non dover legare la propria sorte a quella dei ‘prìncipi’. D’altro canto, il cambiamento profondo preconizzato, come detto, già da san Giovanni Paolo II, presupporrebbe proprio società in processo di trasformazione verso la modernità e la democrazia – mentre in diversi luoghi nella regione, oggi, se trasformazione ci sia, non è proprio ovvio che sia di questo tipo, oppure sembra che vi sia un’endemica instabilità. Da semplice lettore del testo, vi vedrei un invito a tener sempre presente l’alto obiettivo, quale la stella che guidi il cammino, anche in mezzo alle emergenze talvolta veramente estreme. Evidentemente vi si riscontra l’invito di ricordare, come ogni e qualsiasi cristiano ovunque sia tenuto a ricordare, che anche l’obbligo di provvedere alla sopravvivenza personale e comunitaria non autorizza ad andare oltre certi limiti. In fine, siccome la domanda fa menzione di ‘regimi militari’, quali – si capisce – l’opposto di quelli democratici, mi permetto di rilevare che la democrazia non è riducibile al semplice diritto di voto. È necessario che ad esercitare il diritto di voto siano insiemi di cittadini, elettori ed eletti, impegnati, almeno in larga maggioranza, per il sostegno e la promozione della legalità e della libertà. Diversamente, si è visto qua e là, i voti possono andare a forze politiche e ideologiche anti-democratiche. Ne abbiamo fatto esperienza in passato anche in Europa. Storicamente, nel Medio Oriente, sono stati talvolta proprio i ‘militari’ a fare da paladini della ‘modernità’ e a garantire gli Stati dalle forze ad essa avverse, prendendosi essi il controllo altro che col metodo elettorale. In tali situazioni però, prudenza e lungimiranza vogliono che gli esponenti cristiani, seppur sentendosi effettivamente sollevati da tali iniziative, si guardino dall’approvarle a voce troppo alta, per evitare ritorsioni presenti ed eventuali future. Sembra che non sempre e non ovunque e non da tutti sia stata pienamente avvertita e seguita tale regola di prudenza. In ogni caso, credo non si debba neanche pensare a ‘denuncia’ laddove ci sia invece la più grande premura! Il Papa la premura, l’amore, la sollecitudine, per i cristiani del Medio Oriente in questo momento estremamente critico le esprime costantemente e accentuatamente, e sono queste a trasparire con evidenza dal discorso di specie del suo Segretario di Stato. Semmai si tratterebbe di incoraggiamento ed orientamento, con preziose indicazioni sulle vie da seguire”.
Si potrebbe arguire dicendo che è facile parlare stando a Roma, quando le difficoltà dei cristiani in Medio Oriente sono tali e tante che ogni giorno rischiano la vita. Esiste davvero la possibilità di operare in concreto il cambiamento chiesto dal Segretario di Stato? E a quale prezzo per i cattolici della regione?
“Non penso sia giusto leggerne le parole in tale chiave. Nessuno meglio della Santa Sede conosce le difficoltà dei cristiani in Medio Oriente (e altrove) e i rischi che essi corrono ogni giorno. Il ‘cambiamento’, direi, da semplice lettore del testo, sarebbe innanzitutto interiore, nel modo di concepire il proprio ruolo e di ‘immaginare’ lo stato di cose al quale si aspira arrivare, e poi di misurarsi in ogni momento per rapporto a tale ideale, il cui raggiungimento nella società e negli Stati non dipende proprio dai soli cristiani e neppure principalmente da essi. Si pensi agli italiani nei tempi più bui del secolo scorso, specialmente agli uomini della ‘democrazia cristiana’, che proprio nei rifugi e nei nascondigli, pensavano la forma della repubblica e delle sue istituzioni, che poi avrebbero costruito. In altre parole, anche quando si lotta ogni momento di ogni giorno per sopravvivere, letteralmente, si da senso – e forma – a tale intenso sforzo orientandolo verso quello che ‘debba essere’ e che così più facilmente sarà”.
Nel testo il cardinale ribadisce anche la necessità dell’impegno dei cattolici nei loro rispettivi Paesi per contribuire alla fase di transizione verso la “democrazia, lo Stato di diritto e il pluralismo”. Può bastare la formazione sulla dottrina sociale della Chiesa o è necessario prefigurare una nuova stagione di presenza politica dei cristiani nella vita del Medio Oriente?
“I cristiani, ovunque, e forse specialmente in Medio Oriente, hanno l’altissima missione di coniugare, nella propria coscienza gli insegnamenti della fede con i ‘dati’ empirici per plasmare il proprio impegno nella polis. Direi che, particolarmente nelle situazioni di minoranza statistica, sarebbe meglio evitare che confluissero tutti in una sola forza politica, il che solo ne accrescerebbe la vulnerabilità. In ogni caso, tale impegno debba essere di un laicato ben formato, che nella misura che emerga permetta ai sacri Pastori di dismettere il ruolo imposto loro nel passato di ‘etnarchi’. Il cammino comunque è lungo e richiede uno sviluppo organico, dall’interno, per così dire. Accanto al già menzionato discorso epocale di san Giovanni Paolo II possa esso essere guidato dall’Esortazione Apostolica, ‘Ecclesia in Medio Oriente’ di Benedetto XVI. Se si può pensare ad un apporto tutto specifico dei cristiani, sarebbe quello di dimostrare che la fede religiosa, integrale e senza indebiti compromessi, possa essere perfettamente compatibile con l’impegno per la democrazia, per una società politica sanamente laica; anzi che sia lo stesso impegno per la fede religiosa che richieda lo Stato democratico e plurale”.
Alla luce di quanto sta avvenendo in Medio Oriente, la preoccupazione espressa a più riprese dal Papa sul futuro dei cristiani nella regione sembra crescere sempre di più…
“Ed è anche più concreta che mai! E da leggere assieme al discorso del suo Segretario di Stato, che ne spiega significato ed orientamento, escludendo le false piste delle tentazioni all’auto-ghettitazione e di un perenne ricorso ad effimere ‘protezioni’, che possano finire col solo acuire dei pericoli. Direi di più: non vi sono soluzioni a lungo termine disgiungibili delle sorti degli Stati in cui i cristiani vivono, delle Nazioni cui appartengono. Ecco perché la preoccupazione per le Chiese e i cristiani debbono spingere ad un impegno in favore della pace, sicurezza e progresso civico delle Nazioni intere”.