SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Un romanzo biografico emozionante che racconta la parabola umana e sportiva di Vladimir Jascenko, campione e primatista mondiale di salto in alto sovietico della seconda metà degli anni Settanta.
Conosciuto da tutti come Volodja, irruppe sulle prime pagine delle cronache sportive di tutto il mondo nel 1977, quando batté il record mondiale di salto in alto ad appena diciotto anni. In occasione dei campionati europei indoor di atletica leggera di Milano nel marzo 1978 saltò 235 centimetri, certificando l’unicità del proprio talento. Bellissimo, talentuoso e anticonformista, Volodja non solo fu un grande protagonista dell’atletica mondiale, ma anche un personaggio fuori dai rigidi schemi dell’Urss brežneviana, che emerse in tutta la sua fragilità di fronte ad un grande sogno spezzato. Un romanzo che narra la vita tormentata di un campione, dall’ascesa dei primi incredibili “voli” alla brusca interruzione per infortunio, e alla parabola discendente che lo fece sprofondare nell’alcolismo, conclusasi con la tragica caduta di una vita ai margini e di una morte prematura a soli quarant’anni.
Saranno presenti l’autore Giuseppe Ottomano, Carlo Vittori, allenatore di Pietro Mennea, che ha scritto un ricordo sul Campione Sovietico presente nel libro e Stefano Cavezzi della Collection Atletica Sambenedettese grande appassionato di atletica leggera e testimone oculare della straordinaria performance di Jascenko nel marzo 1978 a Milano.
Vladimir Jaščenko, campione fragile
Alla fine degli anni Settanta Vladimir “Volodja” Jaščenko sembrava destinato a dominare a lungo il panorama del salto in alto. Invece, così com’era apparso all’improvviso, dopo appena due anni sugli scudi scomparve repentinamente, quasi inghiottito dal nulla.Bellissimo, talentuoso e anticonformista, Volodja non solo fu un grande protagonista dell’atletica mondiale, ma anche un personaggio fuori dai rigidi schemi dell’Urss brežneviana, che emerse in tutta la sua fragilità di fronte ad un grande sogno spezzato.
Jaščenko irruppe sulle prime pagine delle cronache sportive di tutto il mondo nell’estate del 1977, quando batté il record mondiale di salto in alto ad appena diciotto anni con la misura di 2,33. In Italia divenne particolarmente popolare nel marzo dell’anno successivo, allorché, in occasione dei campionati europei indoor di atletica leggera di Milano saltò 235 centimetri, certificando l’unicità del proprio talento.
Riguardo alla sua uscita di scena a seguito di un infortunio non trapelò quasi nulla. Le autorità preferirono fornire notizie col contagocce, un po’ per coprire clamorosi errori medici e un po’ perché non conoscevano altri metodi di comunicazione.
Volodja Jaščenko era uno strano esemplare di sovietico, almeno per gli standard di quell’epoca. Il suo look era alla moda, un po’ bohémien, e i suoi tic nervosi lo umanizzavano ulteriormente: niente di più lontano dallo stereotipo dell’atleta sovietico rappresentato alla perfezione da Valeri Borzov, che si presentava con un’immagine “a metà strada tra quello di un cadetto dell’accademia militare e quello di un parrocchiano, unito a un atteggiamento freddo, imperturbabile e compassato fino alla noia”.
In “Il volo di Volodja” è ricostruita la storia di vita di quello che è considerato il campione più suggestivo e più misterioso della storia dell’atletica, dagli inizi, attraverso la breve stagione del successo, fino all’inesorabile oblio dopo il ritiro dalla carriera sportiva ad appena vent’anni.
Durante questo ultimo periodo, benché assalito da un’accidia quasi oblomoviana, Volodja continuerà lo stesso a vivere una vita piena. Si piangerà addosso per la gloria perduta, maledirà il mondo, la sfortuna e la corruzione degli uomini, conoscerà la miseria, ma intanto farà tre figli, praticherà una devozione sacrale per l’amicizia, e non smetterà mai di sentirsi innamorato della sua Zaporož’e, la città una volta sovietica e oggi ucraina, che non lo ricambia quanto lui si aspetterebbe.
Assieme alla storia del protagonista, nel libro emerge lo sfondo dell’Unione Sovietica degli anni Settanta e dei primi Ottanta. Sono anni di grigiore, di vita in “un mondo immobile, sospeso tra la malinconia e un autunno perenne”, durante i quali la massima più diffusa tra la gente è “loro fanno finta di pagarci e noi facciamo finta di lavorare”. Non ci sono soldi, si lavora poco, ci si affatica tantissimo e si beve altrettanto per fuggire la realtà. L’alcolismo è una piaga diffusa, ma non suscita una grande riprovazione sociale: è in questo contesto che Volodja comincia a precipitare nel baratro dell’alcolismo. Non combatte più di tanto contro il demone, piuttosto tira dritto per la sua strada, arroccato nelle sue convinzioni e con la sua personalità sempre ben stretta tra i pugni. Si congederà dalla vita a quarant’anni, cieco e consumato da un tumore, spettrale eppure ancora bellissimo nella sua dignità fuori dal tempo.
“Il volo di Volodja” – Vladimir Jaščenko, campione fragile di Giuseppe Ottomano e Igor’ Timohin
Prefazione di Franco Bragagna, con un ricordo del prof. Carlo Vittori
Edito da Miraggi Edizioni