scuolaDi Alberto Campaleoni

Ancora lei, la “dispersione scolastica”. Quante volte se ne è scritto e quante volte è stato sottolineato il dramma dei ragazzi e delle ragazze che “si perdono” durante il percorso scolastico, che iniziano e non finiscono, che escono precocemente dal sistema formativo. In inglese si chiamano “early school leavers”, definizione che aiuta a “tenere distante”, al livello accademico, il fenomeno, che in verità è fatto di nomi e volti ben più “vicini”, da esplorare.
Anche le statistiche e le ricerche, che pure sono importanti, sono un modo per “oggettivare” e considerare il problema in modo, se possibile, asettico. Servono, i numeri, per capire l’entità di quello che succede e serve, la distanza, per ragionare con una certa freddezza alla ricerca di soluzioni. Ma serve anche ricordarsi che i ragazzi e le ragazze di cui stiamo parlando non sono entità astratte, ma figli, i “nostri” figli, persone concrete inserite in contesti precisi, “vicini”, che coinvolgono e interpellano ben più dei flussi di un diagramma.
Ma veniamo ai numeri. La banca dati Eurostat ha recentemente fotografato una situazione allarmante. In Italia i giovani di età compresa fra i 18 e i 24 anni che nel 2013 erano ancora fermi al diploma della scuola media (per questo sono annoverati tra i “dispersi”) rappresentavano il 17% del totale (nel 2011 erano il 18,2). Un dato che, traducendo le percentuali in numeri grezzi, indica come oltre 720mila giovani si fermino ad uno scarso livello d’istruzione e di conseguenza rappresentano anche una forza lavoro poco qualificata. Il confronto con gli altri partner europei ci colloca in fondo alla classifica, prima soltanto di Turchia, Spagna, Malta, Islanda, Portogallo e Romania. E il nostro 17% di dispersi è lontanissimo dal 12,4 del Regno Unito, il 9,9 per cento della Germania e il 9,7 della Francia, già al di sotto del target (pari al 10 per cento) di Ue 2020.
Un altro dato, diffuso a inizio ottobre, riguarda le cifre stanziate quest’anno dal ministero dell’Istruzione per “le scuole collocate in aree a rischio, con forte processo immigratorio e contro la dispersione scolastica”. Cifre che sono diminuite rispetto al passato. Una nota del Ministero precisa che “le risorse a disposizione per l’anno scolastico 2014/2015 per le scuole collocate nelle aree a rischio educativo, con forte processo immigratorio e contro la dispersione scolastica sono determinate in 18.458.933 euro”. Solo 5 anni fa i soldi a disposizione erano ben 53.195.060.
Numeri eloquenti: diminuiscono i soldi, aumentano le responsabilità di chi – le scuole anzitutto – deve fronteggiare il problema. Rispetto al quale resta una domanda di fondo: perché? Perché così tanti ragazzi si “disperdono”? Escono dai percorsi formativi, lasciano la scuola?
Naturalmente la risposta non è unica e non bisogna banalizzare la complessità. Però un pensiero va alla scarsa considerazione e valorizzazione del sistema scuola in generale: evidentemente per alcuni non è un luogo, un’opportunità, un’esperienza che vale la pena. Su questo (anche) occorre lavorare: rinforzare il patto educativo tra scuola e famiglie, scuole e territorio, valorizzare l’attrattività del percorso scolastico, la forza della “scommessa” sulla cultura e sull’educazione. Più scuola vuol dire più futuro e un futuro migliore. È l’intero Paese che deve muoversi in questa direzione.

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