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Il colore prima del blu – Puntata 18 del bellissimo romanzo a puntate


Il romanzo “Il colore prima del blu”
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Leggi i precedenti articoli: Il colore prima del blu

L’assistente sociale legge i miei appunti e sorride. Lo scorrere delle mie confessioni su Anna, sotto i suoi occhi, mi portano imbarazzo. Forse mi considera uno sciocco. Tuttavia avevo bisogno di raccontare le mie emozioni a qualcuno. Non potevo tenerle per me, e al momento lei è l’unica persona che sa tutto della mia vita. Ogni tanto alza lo sguardo e mi osserva senza dire nulla come se volesse scovare dalle mie espressioni un dettaglio in più rispetto a ciò che gli appunti raccontano.
‹‹Devi essere proprio felice per quello che ti sta capitando. Sei fortunato,›› mi dice. Faccio di sì con la testa, anche se mi aspettavo qualcosa in più da lei. La trovo fredda, quasi che voglia recuperare la distanza infranta nell’ultimo incontro.
‹‹Adesso capisco perché hai insistito tanto per vederci subito,›› continua.
Percepisco che vorrebbe dirmi altro o chiedermi chissà cosa. Infatti il tono che usa sembra lasciare la frase in sospeso. Forse deve semplicemente rispettare delle regole terapeutiche che non conosco. Così non mi forza a dire più di quanto mi venga spontaneo. Un po’ mi dispiace perché risponderei a tutte le sue domande. Ne ho bisogno. Continuo a guardarla mentre legge i miei appunti. Non l’avevo mai vista così concentrata. Poi improvvisamente cambia espressione, sembra agitata e il sudore delle mani si appiccica ai fogli.
‹‹Si sente male?›› chiedo.
‹‹Sì, è il caldo; fa troppo caldo. Ora devo andare.››
Decido di seguirla. Si ferma alla fontanella a bere, si bagna i polsi e la fronte. La vedo entrare da Emma la fornaia. Dopo alcuni istanti Emma esce dalla porta, guarda a destra e a sinistra. Appende il cartello “Torno subito” e chiude la porta a chiave. Giuà lo spazzino fischietta in fondo alla via. Spinge il carretto, si ferma, con la scopa spazza la strada dalle sozzure e poi riprende a camminare. Giuà lo spazzino non parla mai. Dice solo ‹‹Buongiorno›› a chiunque incontra. Non l’ho mai visto senza il suo carretto. Fischietta sempre lo stesso motivo. Qualcuno, si dice, e a me lo ha detto Nunzia la pescivendola, si è lamentato con il Sindaco perché lo trova fastidioso. Eppure a me piace. È la colonna sonora delle nostre vite. È come stare dentro a un film. Gli unici giorni in cui Giuà non fischia sono il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo. Si avvicina alla porta del forno, legge il cartellino, scuote la testa e se ne va. L’assistente sociale ancora non esce. Mi avvicino alla vetrata per guardare dentro. La porta avverte con un rumore stridulo il suo aprirsi.
‹‹Che fai? Mi segui?›› mi dice l’assistente sociale scura in volto.
In mano ha i miei appunti e senza tremore le dico: ‹‹Non mi ha restituito il diario.››

Ogni anno, la notte tra il 30 e il 31 agosto sull’Isola accade qualcosa di misterioso. Suoni melodiosi, acque agitate all’orizzonte, bagliori. Sono le sirene che emergono dal mare, dicono qui in paese. È Emma la fornaia a raccontarmi questa storia che in realtà ho ascoltato tante volte fin da piccolo. ‹‹Chi in passato ha cercato di avvicinarsi ha sempre subìto sciagure. I pescatori quella notte non pescano. Il faro resta spento. Le donne portano a letto i bambini. Nessuno si azzarda a scrutare il mare, figuriamoci a uscire in barca.›› Eppure mio padre non temeva nulla. Lui che ha fotografato i leoni della savana, gli abissi degli oceani, gli scoppi delle granate, non si è fatto di certo intimorire da queste storie di paese.
Emma la fornaia dice tutte queste cose mentre mi legge le carte. Della mia storia con Anna nessun accenno: le figure sono mute. Esco dal forno deluso per il silenzio delle carte su Anna, ma orgoglioso di mio padre.

Anna sorseggia un succo di frutta al bar mentre io do lo straccio. Solleva le gambe per farmi passare con lo scopettone. I suoi genitori sono al tavolo a chiacchierare con il signor Alfredo davanti a una birra. Il signor Alfredo ascolta i loro elogi sul nostro paesino. Il padre di Anna si complimenta per la cordialità degli abitanti.
‹‹Sembra una famiglia. In città, non ci fidiamo a lasciare Anna passeggiare da sola. Qui, invece, è così tranquillo…›› dice la mamma. Eppure il signor Alfredo è duro. Non ascolta e dice:
‹‹Questo è un paese morto. Tra alcuni anni non ci sarà più nessuno, qui. Arriveranno le multinazionali del turismo, ne faranno un villaggio e noi ci lasceremo depredare legalmente della nostra terra. Non abbiamo più sogni e ci siamo venduti anche l’anima.›› Il signor Alfredo fa una lunga tirata di sigaretta e rilascia lento il fumo.
Il padre di Anna scuote la testa.
‹‹Hanno già acquistato un pezzo di collina,›› aggiunge il signor Alfredo indicando un luogo non ben precisato là fuori dietro di lui, e poi continua:
‹‹cemento e piscine. Ecco cosa diventerà questo posto: cemento e piscine. Finché un’alluvione non si porterà via tutto. È già successo e riaccadrà, ma chi vive in questa terra non ha memoria.››
Anna mi guarda perplessa e un po’ divertita per le idee apocalittiche del signor Alfredo.
‹‹Il signor Alfredo è convinto che una barca ha rubato tutti i sogni degli abitanti di questo posto…›› bisbiglio ad Anna strizzando l’occhio.
Si mette una mano sulla bocca per nascondere un risolino.
‹‹Infatti, io che sono nato qua non ho sogni…›› continuo appoggiandomi sul bastone dello scopettone dritto tra me e lei.
‹‹Io, invece, sì…›› mi risponde con un battito di ciglia, girando lo sguardo dall’altra parte e lasciando che i suoi capelli scivolino sul viso fino a coprirlo.
‹‹Se hai un sogno sei felice, allora!›› le dico.
‹‹Perché?››
‹‹Solo le persone che hanno sogni possono essere felici, credo.››
‹‹E chi ha già realizzato il suo sogno non è felice?››
‹‹Forse sì… Non lo so! Il signor Alfredo dice che la sala del ristorante non può mai essere perfettamente in ordine: se fosse tutto in ordine significherebbe che non si sta lavorando. Credo che valga anche per la vita: se nella nostra vita fosse tutto in ordine non staremmo vivendo.››
Anna mi guarda come l’altra sera guardava le mille luci dei fuochi d’artificio e mi dice: ‹‹Occorre essere innamorati per avere un sogno.››
Sento il cuore battere forte, riprendo a dare lo straccio per nascondere l’emozione.

Alessandro Ribeca: