Leggi le precedenti interviste a:
– Don Remo Burrasca
– Don Pietro Rossi
– Don Gianni Anelli
– Don Patrizio Spina
– Don Marco Farina
Questa volta l’intervista è stata diversa: sia perché siamo andati a prendere il sacerdote direttamente a casa sua ad Acquaviva, abbiamo bussato alla sua porta e ci siamo accomodati nel suo salotto, sia perché l’intervistato è mons. Gervasio Gestori, vescovo emerito della nostra diocesi, cui sia io che Marco Sprecacè, il quale era con me quel giorno, siamo legati da un rapporto di amicizia e stima reciproca.
Si è rivelato a noi un nuovo Gervasio, lontano dai riti solenni, dalle celebrazioni e dalle parole altisonanti cui la mia esperienza di bambina mi aveva abituato.
Floriana Palestini: Cominciamo dall’inizio, dal 28 giugno del 1959, quando indossò la talare per la prima volta.
Era domenica 28 giugno 1959, 55 anni fa. Mi presentai nel duomo di Milano con altri trentotto compagni di seminario: era mattina presto e il duomo era pieno di persone. Il presidente della celebrazione era il cardinale Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, futuro Paolo VI. Ho riletto in questi giorni la sua omelia fatta a braccio, con tanta sapienza di mente e con un cuore grande di padre. Ci disse: “Vorrei dirvi tante cose, ma voi già sapete tutto perché siete preparati; vi mando come agnelli in mezzo ai lupi di questo mondo, ma vi tengo vicini, non abbiate paura. La gente vi osserverà, tanti sembreranno indifferenti a voi, al vostro messaggio cristiani, ma il nostro mondo ha profondamente bisogno del Signore Gesù”. Questa in sintesi l’omelia fatta da Montini, che è stato dichiarato Beato.
L’anello che porto al dito da vescovo è quello che lui ha voluto per i padri del concilio ecumenico, distribuito allora a tutti i padri del concilio. Io l’ho ricevuto in dono dal suo segretario il giorno in cui feci l’ingresso a San Benedetto del Tronto: all’interno dell’anello c’è lo stemma di papa Montini e fuori Gesù Redentore, San Pietro e San Paolo.
FP: La sua famiglia d’origine da chi era composta?
Mio padre era capomastro: grande lavoratore, di poche parole, però marito e papà esemplare. Mi ha insegnato con la sua dirittura morale, la sua fedeltà al lavoro, il suo esempio silenzioso e un affetto manifestato molto semplicemente con la vicinanza e l’incoraggiamento. Mia mamma era una persona dolcissima, molto forte ed affettuosa. Mi ha donato la voglia di vivere bene, di non fare mai del male a nessuno e di guardare avanti con fiducia. Mio fratello minore è sposato e padre di un ragazzo e due ragazze, nonno di sei nipotini, per cui io sono il loro prozio. Il maggiore ha 6 anni e si chiama Lorenzo, il più piccolo ha 1 anno e si chiama Matteo.
FP: Tra le varie esperienze vissute, quale è quella che l’ha colpita particolarmente?
Ho trascorso buona parte della mia vita in seminario: per 37 anni sono stato in quello di Milano, prima 12 anni come studente, poi 25 anni come educatore a diversi livelli, padre spirituale dei piccoli, insegnante di storia e filosofia, preside e rettore. Sparsi per la diocesi di Milano ho tanti preti che sono stati miei alunni, ma anche tanti ragazzi che hanno frequentato il seminario e che ora sono padri di famiglia, sindaci, professori. I ricordi più felici li ho nella parrocchia di Melzo, alla periferia di Milano, dove ho incontrato tante famiglie, ho in mente tante coppie. Il ricordo più affettuoso è quello dei fidanzati che ho accompagnato fino al matrimonio: ogni anno seguivo circa 70 coppie che si preparavano al matrimonio, li incontravo diverse volte, guidavo gli incontri, celebravo il rito nuziale e quando ho lasciato la parrocchia per andare a Roma queste coppie mi hanno lasciato nel cuore la nostalgia più profonda e di loro ho un ricordo bello e ricco di speranza.
FP: Divenuto vescovo come ha trovato la nostra diocesi?
Comincerei col dire che non mi ritenevo degno di diventare vescovo, perché la pienezza del sacerdozio è una cosa talmente grande che nessuno di buon senso cristiano può comprendere. Però diventato vescovo sono molto riconoscente a Dio e a papa Giovanni Paolo II: ho vissuto questi 18 anni di episcopato in diocesi con tanti impegni e molta serenità. Ripensandoci adesso mi dico che non meritavo una diocesi come questa: bella, ricca di tanto laicato generoso, entusiasta e preparato, con la voglia di collaborare coi sacerdoti e nelle parrocchie. E poi in questi anni ho avuto la gioia di ordinare tanti preti, è una diocesi che è stata ricca di vocazioni che sono poi maturate fino al sacerdozio, e poi ho tanti altri motivi per essere grato al Signore di questa chiesa diocesana della quale custodisco nella mente e nel cuore tanti ricordi di volti, di storie di esperienze di persone, giovani e meno giovani, e vorrei non dimenticare mai questi ricordi molto belli che ho di tanta gente che ho incontrato in questi anni.
FP: Ha viaggiato molto nel corso della sua vita sacerdotale?
Io ero fondamentalmente un sedentario fin quando non sono andato a Roma, perché vivendo per tanti anni in seminario ero impegnato dentro le mura di questo ambiente educativo, dedito all’attenzione dei seminaristi e allo studio. Arrivato a Roma mi sono visto incaricato di un impegno nuovo, quello di aiutare i paesi in via di sviluppo coi fondi dell’8×1000 attribuiti alla Conferenza Episcopale Italiana. Mi son sentito impegnato ad andare a visitare i Paesi più poveri del mondo: ho visitato i paesi poveri dell’America centro-meridionale, dell’Africa e dell’Asia. Un viaggio che mi è stato offerto era quello alle isole Samoa, nella città di Apìa, nell’oceano Pacifico. Il cardinale di quelle isole mi disse: “Devi venire ad inaugurare una struttura educativa finanziata dalla CEI”. Io all’inizio dissi di sì, ma poi ebbi un po’ di timore perché dovevo stare lontano dall’Italia per troppo tempo, visto che le isole si trovano dall’altra parte del mondo. Rimane un ricordo, nostalgico non più di tanto. Avrei voluto visitare più a lungo Cuba e il Vietnam, ma non potevo fermarmi di più perché in queste visite avevo degli orari fissi, dovevo fare gli incontri in maniera sbrigativa e poi non potevo andare in giro per conto mio.
FP: Avrà letto decine e decine di libri, a sfondo religioso e non, ma c’è una frase che porta nel cuore e che ha fatto sua?
Da laico potrei citare una frase del Piccolo Principe di Saint-Exupéry: “Le cose che non si vedono sono più belle di quelle che si vedono”; non ha bisogno di commenti. Di un santo che amo, Agostino vescovo di Ippona, ho in mente tante sue espressioni una più bella dell’altra, ad esempio: “Non uscire da te stesso, rientra in te: dentro di te abita la verità”, che è un modo di dire che nella coscienza di ogni persona c’è la voce del Signore: ascoltala sempre, è la tua verità. Della Parola di Dio ricordo una frase dell’apostolo Paolo nella lettera ai Romani: “Per coloro che amano Dio tutto coopera per il bene”, cioè se tu ami il Signore, tutto è bello e tutto buono. Agostino commentando questa frase diceva: “Anche i peccati. Se ami il Signore anche i tuoi peccati servono per diventare più buoni e più grandi”.
FP: Il suo libro preferito?
A parte la Bibbia e a parte Agostino, tra i filosofi amo Aristotele, Tommaso, Spinoza, Leibnitz. Tra i poeti invece preferisco Giacomo Leopardi, Dante Alighieri e Alessandro Manzoni.
FP: Come è cambiata la sua vita ora che è vescovo emerito?
Cerco di gustare la vita come persona, trovando il tempo per pensare, riflettere, rivedere, interiorizzare, contemplare la bellezza della natura: dal mio balcone posso ammirare il mare, le colline, il Gran Sasso, il Vettore, la Maiella. Vedo il sole al mattino spuntare dal mare e di notte il cielo stellato e la luna. Come credente vivo le mie giornate con un ritmo monacale: al mattino con le suore celebro le lodi e l’Eucarestia nella mia cappella privata. Alle ore 15:00 di ogni giorno sintonizzato su TV2000 recito la coroncina della Divina Misericordia e alle ore 17:45 celebro i vespri e poi il rosario in collegamento con Lourdes. Posso pregare con più calma, senza la fretta e le distrazioni che avevo prima quando avevo l’onere della diocesi. Come vescovo in pensione vivo da pensionato e non da disoccupato: aiuto il parroco di Acquaviva, don Alfredo, celebro le messe il sabato e la domenica, predico e confesso. Vado dove mi chiamano in diocesi ma soprattutto fuori: nella diocesi di Milano mi chiamano spesso per cresime, processioni, per qualche festa patronale; non mi sento disoccupato.
Marco Sprecacè: Lei è nato sotto papa Pio XI, arcivescovo di Milano; poi ha conosciuto Pio XII, Giovanni XXIII quindi ha vissuto l’apertura del concilio vaticano II, consacrato da Paolo VI; è divenuto vescovo sotto Giovanni Paolo II ed è diventato emerito sotto papa Francesco passando per Benedetto XVI. Non so se ha conosciuto anche papa Luciani…
Dunque, Pio XI non l’ho mai conosciuto perché avevo 3 anni quando morì. Pio XII l’ho visto quando facevo la terza media: nel 1950 andai a Roma per l’anno santo e a Castel Gandolfo ho potuto vedere e ascoltare il papa che aveva ricevuto i pellegrini provenienti da Milano e i seminaristi della diocesi ambrosiana. Giovanni XXIII non l’ho mai visto perché ero giovane prete e lui fu papa per pochi anni, dal ’58 al ’63. Paolo VI l’ho incontrato personalmente due volte: la prima volta fu a Roma, quando andai all’università di San Bonaventura per una conferenza all’interno del congresso bonaventuriano e ad un certo punto arrivò anche il papa per cui l’ho potuto salutare.
La seconda volta fu nel 1976: andai da lui in udienza particolare perché c’era stato un grosso problema per la diossina che era esplosa a Seveso e il papa aveva ricevuto la commissione che ha lavorato in quel contesto problematico; di questa commissione avevo fatto parte anche io e il papa ha voluto riceverci per ringraziarci del lavoro svolto. Papa Giovanni Paolo I non l’ho mai visto anche perché è stato papa per 33 giorni. Giovanni Paolo II l’ho visto diverse volte, da lontano e da vicino, anche in udienza particolare. Con Benedetto XVI ho avuto l’udienza particolare per una buona mezzora, un colloquio a tu per tu. Papa Francesco l’ho incontrato tante volte, nel mese di maggio dell’anno scorso l’ho visto per tre volte nel giro di tre settimane: una volta in udienza particolare, seconda volta in piazza san Pietro perché accompagnai in pellegrinaggio la vicaria di Porto d’Ascoli e la terza volta fu durante l’assemblea dei vescovi italiani.
MS: Poi tornando indietro: il vescovo Carlo diceva che ognuno ha la sua vocazione ed è chiamato a coltivarla. Ecco, la sua vocazione al sacerdozio come è stata accolta dalla sua famiglia?
Penso proprio senza problemi e credo che mia mamma desiderasse avere un figlio prete, mentre mio padre non era contrario anzi, suo fratello era sacerdote. La mia vocazione l’ho sentita in maniera germinale fin da piccolo, fin dall’asilo. Ricordo che la suora mi diceva di chiudere gli occhi, mettere le mani giunte, pregare Gesù e chiedere cosa farò da grande e lei mi suggeriva: “Domanda a Gesù che ti faccia diventare prete” ed io lo facevo perché avevo solo 4 anni. Questa suora ebbe la gioia di vedermi entrare in seminario a 11 anni, di partecipare alla mia prima messa a 23 anni e di assistere alla mia ordinazione episcopale nel duomo di Milano; partecipò alla mia prima messa da vescovo al mio paese natale. Questa signora è morta 6 anni fa, aveva circa 90 anni ma ebbe una vita molto ricca anche grazie alla mia scelta di vita che la rese molto felice. La mia vocazione ebbe un percorso molto tranquillo e senza ostacoli: fui incoraggiato da tutti, persino dai miei compagni di asilo e scuola elementare, che ho il piacere di incontrare tutt’oggi e che ora sono nonni e nonne, contenti di avere un loro coetaneo che è diventato prete e vescovo. Penso che si sentano profondamente onorati.
FP: Oggi i ragazzi vivono in una costante situazione di attesa, di ansia per il futuro che appare sbiadito. Cosa consiglia ai giovani che non riescono a trovare la propria strada?
Guardate avanti con fiducia: la vostra vita merita di essere vissuta anche se appare non solo impegnativa, ma offuscata da un futuro che non si presenta in maniera chiara. Dentro voi giovani esistono delle possibilità enormi, sempre. Devono svilupparsi e sono come semi che devono crescere e sbocciare. Non sentitevi mai soli, perché accanto a voi c’è la presenza continua, formidabile, meravigliosa del Signore, che vi vuole bene. Questo vi permetterà di andare avanti nonostante tutto, nonostante i freni che vi possono venire da un contesto sociale alcune volte negativo, da esempi non belli che vi vengono dati dagli adulti e da quanti vorrebbero rubarvi la speranza e la gioia di vivere, no. La vita merita di essere vissuta sempre, in maniera bella, alla grande, perché è un dono, di mamma, papà e di Dio.
Ci avviciniamo alle scale per congedarci, sulle cui pareti notiamo altre foto con preti ordinati da lui, campiscuola degli anni ’70 e tante altre, prima però ci mette una mano sulla spalla e sussurra: “Trasmettete entusiasmo alle vostre amiche ed amici. Fate vedere che è bello stare insieme, così. Sapete, tanti vostri compagni e compagne vivono un po’ così, sempre alla ricerca di qualcosa, in maniera affannata, ci si butta su strade ed esperienze che ti lasciano dentro tanto vuoto.
Voi vivete le vostre fatiche, però avete delle motivazioni, degli ideali. Trasmettete gioia! Sorridete, fate capire che siete giovani contenti”. Ci chiudiamo la porta alle spalle, in un silenzio eloquente, dopo essere stati accolti tra le braccia, la casa e la vita di un grande uomo.