Zenit Di Robert Cheaib
Come si presenta un libro evocativo? Con non poco imbarazzo. Non un imbarazzo provocato passivamente, ma un imbarazzo provocante, attivo, scelto e ben inscenato. È così che presento il libro di Marco Pozza, L’imbarazzo di Dio.
L’autore ha scelto di rinarrare e rimeditare i vangeli con fare carezzevole ma incisivo, allusivo ma preciso, scorrevole ma dotto. Ci si trova così davanti a un quadro ricco di colori non nuovi – perché la fedeltà al vangelo è presupposta e mantenuta lungo l’opera – ma, nondimeno, rinnovati da quella stessa perenne novità del Novum.
Tornando al motivo dell’imbarazzo che il titolo intona e che le pagine successive riecheggiano come un ritornello sfumato che scava approfondendo, il libro di Pozza – che intreccia con arte vangelo e storia vissuta (l’autore è cappellano di un carcere nel Nord-Est italico) – dispiega il Vangelo all’immaginazione, quella facoltà creativa e “realizzativa” che ci fa passare dall’astratto del sapere religioso alla concretezza e al realismo del sapore credente.
Il libro è da meditare e da lasciare decantare nel silenzio della preghiera, il silenzio fecondato e fecondo che ha avvolto Maria “embarazada” (incinta in spagnolo), il silenzio di pentimento che ha avvolto l’imbarazzo di Pietro dopo il tradimento, il silenzio sofferto del Padre verso il Figlio in croce, la parola silente della speranza del terzo giorno con la quale il Giardiniere ha accolto Maria strappando il velo dell’ignoto col nome di riconoscimento: Maria – Rabbuni.
Forse la migliore presentazione è lasciar parlare una pagina del libro. Anche qui la Parola entra nel silenzio, lo squarcia e riecheggia pienezza… è su una delle pagine mie preferite del Vangelo… la summa theologiae di Emmaus…
Li raggiunse sul ciglio della desolazione. Forse anche della disperazione, quell’agitazione del cuore che appare quando tutto sembra andato perduto, smarrito, slegato perché sconclusionato. Li trovò desiderosi seppur delusi, convincenti seppur prossimi alla resa, innamorati seppur rimbambiti. E si mostrò loro come il Dio che svela il nesso nascosto tra quei mille fili colorati: da una parte paiono un ammasso scomposto di incroci tra loro misteriosi, dall’altra tengono l’insopportabile bellezza di un’opera d’arte.
In direzione di Emmaus il Risorto non s’avvalse della facoltà di non rispondere, ma si calò dentro la loro notte – notte di veglia e d’attesa, seppur notte d’apparente angoscia e dimenticanza – e ne illuminò i meandri più pesanti, quello che arrecavano turbamento nel cuore. Riuscì nell’impresa più delicata, quella di mostrare loro – senza farsi prima riconoscere per facilitare il da farsi – il significato degli eventi capitati negli ultimi tre giorni, d’illuminare il cuore segreto di una storia che sembrava perduta.
Riaccese in loro la memoria e li portò sul punto panoramico della storia: “E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,27). Passò alla storia come la catechesi più riuscita, quella d’infiammare il cuore deluso di due viandanti affranti senza acrimonia o vanterie, ma semplicemente svelando loro il senso di quella fatica vissuta. Di quell’assenza ch’è stata il preludio di una più ardita presenza.