C’è una realtà della Chiesa “spirituale” che “è il corpo di Cristo, edificato nello Spirito Santo”, e c’è una realtà “visibile” che sono le parrocchie, le comunità, i sacerdoti, le suore, ogni uomo e donna che abbia ricevuto il Battesimo. Tutti questi ‘sono Chiesa’ e proprio per questo è bene comportarsi in modo adeguato, evitando di scandalizzare il mondo ma invece arricchirlo con la propria testimonianza.
In sintesi, è questo il fulcro della riflessione di Papa Francesco durante l’Udienza generale di oggi. Il Pontefice prosegue il suo ‘catechismo’ con i fedeli in Piazza San Pietro, aggiungendo un altro tassello al grande mosaico sulla natura della Chiesa costruito ogni mercoledì. Oggi il punto di partenza è dunque il binomio tra natura spirituale e visibile di essa, che – spiega il Papa – non sono due cose distinte, ma un’unica realtà in reciproco rapporto.
“Innanzitutto – chiarisce il Santo Padre – quando parliamo della realtà visibile della Chiesa, non dobbiamo pensare solamente al Papa, ai Vescovi, ai preti, alle suore e a tutte le persone consacrate. La realtà visibile della Chiesa è costituita dai tanti fratelli e sorelle battezzati che nel mondo credono, sperano e amano. Ma tante volte sentiamo dire: ‘Ma, la Chiesa non fa questo, la Chiesa non fa qualcos’altro…’. ‘Ma, dimmi, chi è la Chiesa?’, ‘sono i preti, i vescovi, il Papa…’”.
Un concetto del tutto errato, sottolinea il Pontefice, perché “la Chiesa siamo tutti, tutti! Tutti noi! Tutti i battezzati siamo la Chiesa, la Chiesa di Gesù. Da tutti coloro che seguono il Signore Gesù e che, nel suo nome, si fanno vicini agli ultimi e ai sofferenti, cercando di offrire un po’ di sollievo, di conforto e di pace”. “Tutti – insiste Bergoglio – tutti che fanno quello che il Signore ci ha mandato, tutti che fanno quello, sono la Chiesa”.
Si comprende, allora, che “anche la realtà visibile della Chiesa non è misurabile, non è conoscibile in tutta la sua pienezza”. “Come si fa a conoscere tutto il bene che viene fatto?”, domanda infatti Papa Francesco a braccio; come si fa a rendersi conto fino in fondo delle “tante opere di amore, tante fedeltà nelle famiglie, tanto lavoro per educare i figli… per trasmettere la fede, tanta sofferenza nei malati che offrono le loro sofferenze al Signore… Questo non si può misurare ed è tanto grande, eh! È tanto grande!”.
E ancora: “Come si fa a conoscere tutte le meraviglie che, attraverso di noi, Cristo riesce ad operare nel cuore e nella vita di ogni persona?”. È evidente che “anche la realtà visibile della Chiesa va oltre il nostro controllo, va oltre le nostre forze, ed è una realtà misteriosa, perché viene da Dio”.
Tuttavia, il Papa spiega che c’è un modo per comprendere “il rapporto, nella Chiesa, il rapporto tra la sua realtà visibile e quella spirituale”, e non è altro che “guardare a Cristo”, del quale “la Chiesa costituisce il corpo e dal quale essa viene generata, in un atto di infinito amore”.
Nel Figlio di Dio, “in forza del mistero dell’Incarnazione, riconosciamo una natura umana e una natura divina, unite nella stessa persona in modo mirabile e indissolubile”. In modo analogo, ciò “vale anche per la Chiesa” che è anch’essa è “un mistero”, nel quale “ciò che non si vede è più importante di ciò che si vede, e può essere riconosciuto solo con gli occhi della fede”, dice il Santo Padre.
Sempre guardando a Cristo, poi, possiamo comprendere in che modo la realtà visibile della Chiesa “può porsi a servizio di quella spirituale”. Egli, infatti, “è il modello della Chiesa, perché la Chiesa è il suo corpo. È il modello di tutti i cristiani, di tutti noi… Quando si guarda Cristo non si sbaglia”. E come Cristo “si è servito della sua umanità (perché era uomo anche!) per annunciare e realizzare il disegno divino di redenzione e di salvezza (perché era Dio)”, così deve essere anche per la Chiesa, la quale “attraverso la sua realtà visibile, di tutto quello che si vede, i sacramenti e la sua testimonianza di tutti noi cristiani”, è chiamata quotidianamente “a farsi vicina ad ogni uomo, a cominciare da chi è povero, da chi soffre e da chi è emarginato”.
Proprio perché di impronta anche ‘umana’, oltre che ‘divina’, capita inoltre che “come Chiesa facciamo esperienza della nostra fragilità e dei nostri limiti…”, osserva Bergoglio. “Tutti ne abbiamo. Tutti siamo peccatori, tutti, eh? Nessuno di tutti noi può dire: ‘Io non sono peccatore’. Ma se qualcuno di noi si sente che non è peccatore, alzi la mano, vediamo quanti?”.
Attenzione, però, questo non ammette una rassegnazione al peccato come dato di fatto. Anzi, precisa il Pontefice, “questa fragilità, questi limiti, questi nostri peccati, è giusto che procurino in noi un profondo dispiacere, soprattutto quando diamo cattivo esempio e ci accorgiamo di diventare motivo di scandalo”.
“Ma quante volte – aggiunge a braccio – abbiamo sentito, nel quartiere: ‘Ma, quella persona di là, sta sempre in Chiesa ma sparla di tutti …”. Ma che cattivo esempio, sparlare dell’altro. Questo non è cristiano, è un cattivo esempio: è un peccato. E così noi diamo un cattivo esempio: ‘E insomma, se questo o questa è cristiano, io mi faccio ateo’”.
È “la nostra testimonianza”, infatti, “quella che fa capire cosa è essere cristiano”. Allora stiamo attenti alle parole, ai gesti, e a Dio – esorta Francesco – “chiediamo di non essere motivo di scandalo. Chiediamo il dono della fede, perché possiamo comprendere come, nonostante la nostra pochezza e la nostra povertà, il Signore ci ha reso davvero strumento di grazia e segno visibile del suo amore per tutta l’umanità”.