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La lotta di molti cristiani a favore dei miseri e degli abbandonati risale a milleottocentoquaranta anni prima delle teorizzazioni marxiste

Di Marco Tosti

Il riferimento, fatto in più di una occasione da Papa Francesco, all’etichetta di “comunista” per il suo prodigarsi in favore dei poveri, pone in realtà una questione scottante. Quella precisazione che essere a fianco dei poveri “è vangelo, non comunismo” significa riconoscere una priorità che viene da molto più lontano del comunismo. Se viste da questa prospettiva, le cose cambiano molto, anzi, si rovesciano. Per un certo periodo il cristianesimo militante e sensibile ai problemi sociali era divenuto tributario del comunismo, in quanto aderiva, credendo, a torto, di non avere altri punti di riferimento, ad un pensiero ritenuto “forte”. La lotta millenaria di molti cristiani a favore dei miseri e degli abbandonati risale a milleottocentoquaranta anni prima delle teorizzazioni marxiste. Non ditemi – sembra voler affermare il Papa – che sono comunista, perché la mia attenzione ai poveri non viene dal Capitale di Marx o dagli scritti di Lenin, ma da quattro testi nati nella Palestina del primo secolo dell’era volgare.
La storia mostra in effetti come l’impegno del cristiano a favore dei poveri ci fosse già durante la colonizzazione dell’America del sud da parte degli Spagnoli, e qualcuno ricorderà il film “Mission” di Roland Joffè che affrontava proprio questo evento. Ma anche prima c’erano stati eclatanti esempi che hanno messo in imbarazzo i poteri costituiti per la loro “scandalosa” e radicale scelta di campo, ed anche qui in senso nettamente opposto a quello che sarà il comunismo: stiamo parlando di Francesco d’Assisi e, come vedremo, anche di Chiara. Francesco tronca con il suo esempio qualsiasi allusione alle presunte somiglianze tra cristianesimo e comunismo, rifiutando due punti fermi del comunismo stesso, con la scelta della condivisione e la rinuncia alla battaglia politica. Contrariamente a quanto è accaduto alla gran parte dei teorici comunisti, il santo d’Assisi non si è messo a parlare di rinnovamenti sociali o rivoluzioni palingenetiche dal pulpito o dalla finestra della sua ricca magione. Semplicemente ha abbandonato la vecchia vita per condividere la fame, la miseria, la nudità, i pericoli (compreso quello di morire di stenti) e le derisioni cui erano sottoposti i poveri di allora. Il messaggio è radicalmente diverso da quello che, seicento anni dopo, verrà chiamato marxismo. Chiara scelse di condividere quella strada, e la cosa fece ancor più scandalo, in quanto donna. La sua rivendicazione rivoluzionaria, il diritto all’esistenza attingendo a ciò che il buon Dio ha donato a tutti, nessuno escluso, è stata capita fino in fondo da due laici, una scrittrice, Dacia Maraini e un filosofo, Giorgio Agamben: per Francesco e per Chiara la proprietà comune è un diritto e i campi “dovrebbero essere messi a disposizione di tutti coloro che ne vogliono godere”. E soprattutto, a differenza di molte teorie comuniste, senza predicare la violenza, il massacro, la dittatura.
La storia del cristianesimo è in realtà piena di persone che sono state affascinate dal messaggio evangelico della povertà: si pensi a Charles Péguy, la cui adesione ad un cristianesimo evangelico non fu il rinnegamento del suo passato di socialista, ma anzi, una più radicale scelta di campo, pagata con l’indigenza e l’emarginazione.
Il fatto è che, nonostante tutto, la povertà è stata associata da molti alla libertà: alcuni degli scrittori, poeti, scultori e pittori della cosiddetta Scapigliatura preferirono rinunciare agli agi di una vita borghese per vivere miseramente ma senza alcun compromesso con un tipo di vita che essi disprezzavano. Lo stesso Baudelaire, il loro modello, preferì una vita da vagabondo urbano e di incertezze economiche ad una di benessere senz’anima. Per non parlare dei Miserabili di Victor Hugo, una vera e propria epopea di proletari che conoscono ciò che molti benpensanti hanno perduto: i sentimenti, l’altruismo, lo slancio del cuore.
La povertà, a dire il vero, ha affascinato anche non credenti o comunque non cristiani: il Siddharta di Hermann Hesse è il cercatore di assoluto che vive di ciò che gli offre la natura. Simon Weil, secondo alcuni il punto di passaggio tra ebraismo e cristianesimo, ha personalmente sperimentato, per libera scelta, la fatica e l’alienazione del lavoro in fabbrica.
Più che di simpatie comuniste, si dovrebbe parlare di amore per la giustizia sociale, che dovrebbe essere nel cuore di ogni uomo, e non prerogativa esclusiva di una ideologia politica.

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