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L’Europa sopravvive alla grande crisi Spaventano gli squilibri

Jyrki Katainen e Pierre MoscoviciDi Gianni Borsa

“La situazione economica e dell’occupazione non sta migliorando con sufficiente rapidità”, dice, quasi timidamente, Jyrki Katainen, finlandese schivo e matematico, da quattro giorni vicepresidente della Commissione Ue con il compito di coordinare gli sforzi per creare crescita, investimenti e competitività. Quasi una “mission impossible” in un’Europa del “mercato unico” la cui economia è sostanzialmente al palo, come spiegano le “Previsioni economiche d’autunno” rese note oggi al Palazzo Berlaymont. E se il messaggio non fosse sufficientemente chiaro, si fa avanti Pierre Moscovici, commissario per gli affari economici e finanziari, francese, eloquio sciolto e signorile: “Non vi è una soluzione semplice e univoca alle sfide che l’economia europea deve fronteggiare. Non c’è una bacchetta magica”. Eppure non tutto è perduto: in economia contano azioni concrete e clima di fiducia, tanto è vero che Moscovici avverte: “Dobbiamo agire su tre fronti. Predisporre politiche di bilancio credibili, intraprendere riforme strutturali ambiziose; realizzare investimenti sia pubblici che privati, elemento assolutamente necessario”. Non manca quindi un cenno al “Piano Juncker” – sul quale per ora vige il massimo riserbo – per mettere sul tavolo 300 miliardi di investimenti, che dovranno però essere accompagnati, secondo Bruxelles, da riforme serie e indilazionabili, di competenza degli Stati aderenti all’Unione. Dopo l’“omelia”, arrivano però i dati, piuttosto scoraggianti nel loro insieme. L’Esecutivo pronostica in effetti “una crescita debole per il resto di quest’anno, sia nell’Ue che nella zona euro”. Per il 2014 la crescita del Pil reale “dovrebbe raggiungere l’1,3% nell’Unione e lo 0,8% nella zona euro”, per poi “salire lentamente nel corso del 2015, rispettivamente all’1,5% e all’1,1%, trainata da una maggiore domanda interna ed estera”. Il 2016 riserverebbe – ma il condizionale è d’obbligo – una “accelerazione della crescita”, per portare il Pil attorno al 2,0%.
E se la ripresa “statistica” è fissata nell’arco di un biennio, significa – come non nascondono i due commissari – che per la creazione di posti di lavoro occorrerà avere ancora più pazienza. Si prospetta dunque il paradosso della “ripresa senza occupazione”, affidata soprattutto alla domanda estera.
Se questi sono gli elementi più evidenti delle “Previsioni d’autunno” (un faldone con centinaia di fogli, tabelle, percentuali, comparazioni, grafici, power point…), non bisogna sottovalutare almeno tre osservazioni particolari.
La prima: le 28 economie Ue marciano a velocità diverse. Ad esempio la “forchetta” dei tassi di crescita spazia da -0,7% della Croazia a +4,6% dell’Irlanda. In mezzo si registrano situazioni in rallentamento (Germania, Francia), altre in ripresa (Spagna, Portogallo), altre brillanti, fra cui il Regno Unito, la Polonia e gran parte dei Paesi dell’est. Ciò significa che di fronte alla crisi ci si può porre con atteggiamenti diversi, con capacità di reazione differente e che, soprattutto, si può sopravvivere.
È quanto conferma – seconda annotazione – la notizia, contenuta sempre nelle “Previsioni”, secondo cui tre dei quattro Paesi sottoposti alla “medicina” dei temuti interventi Ue (leggasi rigore e sacrifici) sono ormai in netta ripresa. Il caso più interessante è quello dell’Irlanda, che presenta i tassi di crescita più alti d’Europa. Segue la Spagna, che nel triennio spazia da +1,2% a un significativo +2,2% del 2016. Quindi la Grecia, la quale, dopo lo 0,6% di quest’anno, dovrebbe arrivare a +2,9% nel 2015, per toccare il 3,7% dell’anno successivo. Dei quattro, resta dunque nelle sacche recessive solo Cipro. Ciò ovviamente non significa che la situazione economica, e soprattutto occupazionale e sociale, di questi Paesi sia risolta o florida; il cammino sarà infatti ancora lungo. D’altro canto occorre domandarsi se le “cure da cavallo” imposte dalla Commissione, dalla Bce e dal Fondo monetario internazionale non abbiano salvato questi Paesi dal fallimento, preparandone il terreno della ripresa. La terza sottolineatura riguarda infine quegli Stati in cui permangono seri problemi strutturali, come nel caso dell’Italia, che sostanzialmente necessitano di interventi non procrastinabili al fine di spezzare le catene che imbrigliano la crescita: si tratti di un pesante debito pubblico, di un deficit fuori controllo, di un’inflazione sotto lo zero, ma anche di scarsa competitività del sistema, di eccessiva tassazione o burocrazia, di modesta produttività del lavoro, di sistemi di credito inadeguati ai nuovi mercati globali… Qui le riforme non possono più attendere.
Di fatto ogni Paese europeo e le istituzioni Ue da domani dovranno farsi l’esame di coscienza e capire quali strade intraprendere almeno per tentare di risalire la china.