“A Medellin la droga si trova dappertutto. Oggi, però, la situazione è molto cambiata”. Si chiamano Brian e Alexis i due ragazzini che raccontano del loro quartiere a un gruppo di stranieri che si avvicina per capire. Li incontriamo a Medellin, nel barrio (è il nome delle favelas in Colombia, ma la sostanza cambia poco) “San Domenico Savio”, un quartiere costruito dal nulla. Le case sono fatiscenti, spesso senza finestre. Sono ammucchiate una sull’altra. Qui abitano migliaia di persone che hanno trovato una sistemazione in città. Per lo più si tratta di gente fuggita dalle campagne a causa della guerriglia che ha imperversato per anni. Nella metropoli si è rifugiata sui fianchi delle montagne a corona di Medellin. Qua, senza alcuna regola, sono cresciuti i barrios, quartieri senza senso, senza ordine, senza proprietà, in cui lo Stato non si è quasi mai visto.
Questa metropoli è da vivere e da capire per poterla giudicare, soprattutto per chi giunge dall’Europa. È una città dai fortissimi contrasti. Nella zona sud si trova il quartiere più benestante, con il nuovo centro commerciale Santafè che ne è l’emblema. Qui sono presenti numerosi casinò accanto ad alberghi lussuosi, le grandi banche e gli showroom delle marche più note di auto. Le strade sono ordinate e pulite, senza i sacchi di immondizia che si trovano quasi ovunque. Bastano due minuti di auto però e, svoltato un angolo, ci si ritrova immersi in strade e vicoli di una periferia umana ed esistenziale.
Prima del 2002, quella di “Santo Domingo” era una delle zone più pericolose della metropoli colombiana, piena di paramilitari di destra e di sinistra. Da quando sono iniziati i lavori per la metro cable, il collegamento tra la metro di superficie e quella via fune che conduce in alto nel barrio, qua è cambiato tutto e si può circolare tranquillamente senza doversi guardare attorno.
Educazione e trasporti, i due grandi investimenti dello Stato che ha inteso imprimere una sterzata all’immagine di un Paese associato sempre e solo ai narcos. “La metro e la metro cable sono stati come un bisturi in un bubbone”, dice Camillo, uno dei seminaristi che per alcuni giorni ha accompagnato diversi ospiti europei presenti a Medellin per partecipare al convegno internazionale promosso dalla Fondazione Joseph Ratzinger. “Era fondamentale avvicinare la città e offrire la possibilità a tutti di muoversi e di studiare”.
A Medellin la spinta giovanile è fortissima: per ogni dieci morti ci sono 33 nascite. Il governo investe sulle nuove generazioni e lo fa con interventi poderosi per favorire il riscatto per tanti. Da un’altra parte, invece, adotta provvedimenti impopolari e picchia sulla benzina: la super costa dai 3 ai 4 euro (la differenza è tra quella più addizionata e quella normale) e anche il gasolio supera i tre euro. Una mazzata digerita male dalla popolazione che comunque comprende il notevole impegno per cercare di fare uscire masse enormi di persone dall’indigenza più assoluta.
Indubbi segni di riscatto sono presenti, ma vanno cercati, come la biblioteca Spagna sempre nel barrio “Santo Domingo”: un luogo per togliere dalla strada bambini, ragazzi e giovani e impegnarli in attività di socializzazione. E poi la presenza della Chiesa, anche nei luoghi più ostici, come il barrio di “Jesus”, uno dei più inaccessibili, davanti a uno dei cinque seminari presenti in diocesi, e l’Università pontificia bolivariana con i suoi 25mila studenti, tra gli atenei più prestigiosi della Colombia. Sacerdoti e comunità attive, come l’italiano padre Carmelo di Santa Maria de la Sierra, nella comuna 8, citato dall’arcivescovo di Medellin, monsignor Ricardo Tobon Restrebo, quale esempio di chi si fa compagno di viaggio con gli ultimi degli ultimi.