I grani del Rosario al posto delle pietre. Una vera e propria intifada della preghiera quella che da 10 anni portano avanti, ogni venerdì al tramonto, le suore del Baby Caritas Hospital, i docenti e studenti dell’Università cattolica di Betlemme, i membri dei corpi di pace dell’Eappi, il progetto ecumenico del Consiglio mondiale delle Chiese, don Mario Cornioli, del Patriarcato latino di Gerusalemme e con lui tanti pellegrini e fedeli della città natale di Cristo. Tutti insieme, sotto il muro di separazione israeliano a Betlemme, la cui costruzione è iniziata il 1 marzo del 2004, per usare l’arma più potente, un rosario recitato a più lingue. Si pregano i misteri dolorosi per meglio ricordare la sofferenza di questa terra segnata dalla divisione e da un conflitto che non ha fine. Ma anche per ribadire che non esiste rassegnazione davanti alla violenza.
Un’intifada di preghiera che è l’alternativa agli scontri e alle tensioni che si stanno verificando in questi mesi a Gerusalemme e in tutta la Terra Santa. Si dirà che forse non cambierà molto in chiave politica, che l’occupazione militare israeliana continuerà e che ci saranno ancora morti e lacrime da versare da una parte e dell’altra. Il rosario di Betlemme vuole essere un’invocazione di pace, di giustizia e di libertà per israeliani e palestinesi. Così come lo è stata la storica preghiera di Papa Francesco al Muro, quando vi poggiò la sua fronte per qualche minuto, durante la sua visita in Israele e Palestina. Una piccola Intifada cristiana che proseguirà, dicono i promotori, “fino a che Dio non ci ascolterà! Continueremo a pregare e cantare in arabo, italiano, spagnolo, inglese e francese e speriamo ebraico prima o poi, nella certezza che siamo tutti figli dello stesso Padre che è nei cieli”. I grani del Rosario al posto delle pietre e delle armi, per una intifada pacifica, una resistenza fatta di preghiera e pazienza. Tutti i venerdì aldilà del muro “per disarmare la vendetta e sgretolare i cuori di pietra”.