I rappresentanti di Stati Uniti, Iran e Unione europea riprenderanno a Vienna, il 18 novembre, i negoziati finali sulla produzione del nucleare iraniano. Il segretario di Stato Usa John Kerry ha smentito che vi sia un collegamento tra la questione del nucleare e gli eventi che sono in corso in Medio Oriente, in particolare sulla cooperazione dell’Iran nella lotta contro lo Stato Islamico in Siria ed in Iraq, questione che sarebbe contenuta in una lettera che il Presidente degli Stati Uniti ha inviato al leader iraniano Ali Khamenei.
La posizione di Israele e il dibattito negli Stati Uniti. Sulla vicenda, gravano la posizione di Israele e il dibattito che si sta sviluppando negli Stati Uniti. Sul primo punto, si registra la presa di posizione del premier israeliano Benyamin Netanyahu, il quale ha dichiarato che “se a Teheran sarà lasciata la capacita residua di arricchire l’uranio per una bomba nucleare, destabilizzerà il mondo e non solo la nostra regione”. Secondo quanto ha riportato il “New York Times”, l’amministrazione americana – che ha anche il problema di gestire le ricadute della sconfitta politica subita nelle elezioni di metà mandato – vorrebbe evitare che fosse il Congresso ad esprimersi sulla questione e la sospensione della maggior parte delle sanzioni contro l’Iran potrebbe essere decisa anche senza un voto parlamentare, permettendo al paese asiatico di continuare ad arricchire l’uranio al 5% e confermando il via libera al programma nucleare per scopi civili. Del resto, l’accordo duraturo con l’Iran sembra essere il “fiore all’occhiello” sin dall’inizio del suo mandato dell’amministrazione americana, che giudica necessario chiuderlo al più presto.
L’appello dei leader europei. I segnali che si stanno susseguendo in Iran di inasprimento delle violazioni dei diritti umani, vengono letti come uno scontro interno tra moderati e radicali-conservatori in vista dell’accordo. È la tesi espressa in un’intervista dell’ex Ministero degli Esteri italiano Emma Bonino, che insieme ad altri leader europei – Javer Solana, Ana Palacio, Carl Bildt, Jean Marie Guehenno, Norbert Rottgen, Robert Cooper – ha diffuso un appello per la firma dell’accordo, pubblicato sul “Corriere della Sera”. Gli estensori dell’appello ritengono che “l’accordo è davvero a portata di mano”, che “un’opportunità come questa potrebbe non ripresentarsi mai più”, convinti che “un accordo finale sul nucleare diffonderebbe fiducia e creerebbe quello spazio politico necessario agli europei per coinvolgere nuovamente l’Iran in quell’importante e tuttora estremamente necessario, dialogo sui diritti umani che era presente in passato” e sottolineano che sarebbe “molto meglio un sistema con monitoraggio che non una situazione tipo quella di Pakistan, India e Corea del Nord, senza alcun monitoraggio”. Considerazioni ragionevoli, che prescindono però dalle ultime valutazioni espresse dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) delle Nazioni Unite, che in un suo rapporto del 7 novembre, afferma che “Nonostante siano state condotte ‘regolari ispezioni’ negli impianti nucleari iraniani, Teheran ha fornito agli ispettori informazioni solo su due degli oltre dieci siti in cui si sospetta vengano condotte attività ‘segrete’ di arricchimento dell’uranio”. La situazione è alquanto complessa, anche perché non pochi segnali fanno ritenere che, nonostante le assicurazioni dell’amministrazione americana, si voglia “comunque” giungere ad un accordo, nella speranza, forse illusoria, che – una volta concluso – l’Iran cooperi nella lotta contro il consolidamento dello Stato Islamico.
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