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Quando è in gioco la vita sarà meglio guardarsi dalla falsa compassione

Di Cristina Dobner

È impossibile non essere travagliati da dubbi, perplessità o interrogativi dinanzi ai progressi della scienza e della medicina, sia quando tocca direttamente la nostra persona o la nostra famiglia, sia quando tocca una qualsiasi persona, un essere umano esattamente come noi.
Nulla si può improvvisare o in qualche modo procedere ad una decisione sul campo, l’interrogativo deve dilaniare la nostra coscienza, deve toccarci fino in fondo non per la compassione che suscita la sofferenza altrui ma anche per la certezza che, prima o poi, pure a noi stessi non verrà risparmiata fatica fisica, debolezza o malattia grave. Si rivela nel travaglio l’idea che ci siamo fatti di Dio e di come Egli intervenga nelle vicende umane. Il Motore immobile di Aristotele, il dio assolutamente impassibile degli stoici ci può venire in aiuto?
L’annuncio evangelico per chi crede è molto chiaro, fin dai primi secoli della comunità primitiva ha illuminato le coscienze di chi si sentiva interpellato a seguire Gesù Cristo e lo ha condotto a fare propri atteggiamenti e opzioni che si diversificavano nettamente dalla società corrente.
A maggior ragione oggi la coscienza cristiana, senza gridare allo scandalo, senza scatenare dibattiti, opera nel silenzio e nel nascondimento per quanto è inscritto nel cuore di ogni battezzato: “In realtà, alla luce della fede e della retta ragione, la vita umana è sempre sacra e sempre ‘di qualità’. Non esiste una vita umana più sacra di un’altra, come non c’è una vita umana qualitativamente più significativa di un’altra, solo in virtù di mezzi, diritti, opportunità economiche e sociali maggiori”.
L’unica qualità, l’unica Doc, è essere creatura umana in cui dimora la stessa Trinità. Non siamo un prodotto che sul mercato deve sfondare o guadagnare, siamo persone umane non “gettate nella storia” e in essa abbandonate ad un cieco destino ma persone che il Creatore consegna come dono alla storia dell’umanità perché siano luogo di gloria imperitura e lode a Dio.
Colui che ha plasmato Adam non vive in un lontano e solitario luogo, rimanendo al di fuori di ogni turbolenza e godendosi una sorta di autistico amore fra le tre Persone della Trinità. Egli, il Padre, insieme con il Figlio e lo Spirito, è sempre chino sulla storia di tutti e di ciascuno, “non dorme il custode d’Israele”, ma soccorre e piange con noi quando cozziamo con le nostre difficoltà: si prende cura di noi incessantemente. Se la vita è dono, come è dono ogni concepito, come è dono ogni figlio o figlia venuto alla luce, lo è da sempre e per sempre. A qualsiasi condizione. Non deve superare un esame di qualità per essere immesso sul mercato, il fatto stesso che è supera di gran lunga il “come” è. Non un oggetto utile o disutile, ben congegnato, ma un essere umano in cui palpita il soffio di Dio con destino ultimo il contemplare il Suo Volto.
Il soccorso del progresso scientifico è indiscutibile e va sempre ascoltato ma non confuso con un decreto di morte. Dobbiamo imparare a distinguere nel nostro lessico: aborto significa omicidio perché il feto è persona viva, è dono di amore.
“Il pensiero dominante propone a volte una ‘falsa compassione’” afferma Francesco rivolgendosi ai medici cattolici e crea una pista falsa che conduce il medico che dovrebbe salvare la vita a vivere come un becchino o, ancora peggio, come un boia.
Chi crede nell’umanità, non solo chi crede in Gesù Cristo, deve accogliere nella propria coscienza “la compassione evangelica che accompagna nel momento del bisogno, cioè quella del Buon Samaritano, che ‘vede’, ‘ha compassione, si avvicina e offre aiuto concreto (cfr Lc 10,33)”.
Assemblare un figlio crea un capogiro di vanagloria e di potenza, fallace e disastrosa, perché taglia la radice dell’amore: dono non diritto ottenuto a tutti i costi. Soccorrere chi soffre è una grande “missione umana e spirituale” che coinvolge nella vita proprio “come un vero e proprio apostolato laicale”. Rendersi complici di eutanasia è essere complici o talvolta addirittura autori di omicidio.
La nostra società che mira all’efficienza, alla presunta giovinezza perenne ottenuta con la chirurgia plastica, fallisce ancora prima di incominciare: non sa dare risposta al perché della vita, qualunque ne sia la “qualità”, perché la qualità non deve intervenire fra persone ma solo sulla merce. Siamo merce da esporre? Siamo “pezzi” di ricambio? Ricordiamoci della tragedia nazista. Sotto altre vesti lo stesso male serpeggia e si insinua.

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