“La scuola ci sta a cuore” è il contributo che la presidenza nazionale di Azione cattolica consegna al Governo nell’ambito della consultazione pubblica sul documento “La buona scuola”. Vi ha lavorato una commissione formata da consiglieri nazionali dei vari settori associativi e da componenti dei Movimenti studenti (Msac), lavoratori (Mlac) e impegno educativo (Mieac). “La scuola ci sta a cuore” delinea prima di tutto un orizzonte pedagogico.
La scuola deve essere “comunità educante”, in cui “si esercita la corresponsabilità” e l’istruzione viene trasmessa con “l’acquisizione di conoscenze e competenze”. Il che significa, concretamente, rompere gli argini di una didattica spesso frontale; valorizzare modalità di apprendimento laboratoriali e di gruppo; includere il territorio e le famiglie con un potenziamento delle forme di partecipazione. Ancor prima, però, la scuola-“comunità educante” deve essere aperta a tutti: urge così intervenire sul diritto allo studio. Bisogna fissare a livello nazionale i criteri minimi di assistenza ai “privi di mezzi”, mentre oggi tale competenza è affidata alle Regioni. Ancora, la scuola accompagna il percorso educativo nella sua interezza: l’Ac chiede che anche la scuola dell’infanzia (o almeno l’ultimo anno di materna) diventi obbligatoria, così come l’obbligo formativo andrebbe esteso fino ai 18 anni.
Riguardo il sistema di valutazione e retribuzione dei docenti, l’Ac prende posizione contro “un sistema premiale” che andrebbe a inserire “dinamiche competitive improprie alla scuola”. Il Governo, infatti, propone di premiare con gli scatti stipendiali solo i 2/3 dei docenti riconosciuti meritevoli: ciò appare molto pericoloso, poiché “minerebbe la logica di lavoro cooperativo” che in una “comunità educante” vede il corpo docente unito nella ricerca del “successo formativo” per gli alunni. Nel documento “La buona scuola”, il Governo offre una razionalizzazione che renda davvero effettiva l’autonomia scolastica. Ma “stona l’assenza di pensiero sulla suddivisione dei percorsi scolastici. Siamo uno dei pochi Paesi europei in cui le superiori terminano a 19 anni, e la difficoltà delle scuole medie è palese: per questo è forse tempo di pensare a una revisione dei cicli”. Se ad esempio “si passasse dall’attuale 5 (primaria) + 3 (media) + 5 (superiore) a un 7 (primaria) + 5 (superiore), mediante una riorganizzazione complessiva di programmi e competenze, si potrebbe risparmiare un anno suddividendo meglio gli apprendimenti”. Infine, su ogni riflessione “aleggia lo spettro delle risorse”: ora “il Governo stanzia (Legge di stabilità 2014) fondi importanti per l’assunzione di quasi 150mila docenti precari, ma nel contempo riduce i fondi destinati alle attività autonome”.
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