Anche Barak Obama è stato costretto a prendere posizione. La battaglia che si è scatenata intorno alla cosiddetta “Net Neutrality” non è destinata ad esaurirsi presto. La rete è governata da un organismo fortemente caratterizzato dalla presenza americana. Proprio negli Usa, però, si sono accessi gli appetiti dei grandi operatori delle Tlc che sono chiamati a costruire le strutture per la banda larga.
Una guerra di posizione. Il ceo di At&t, Randall Stephenson, in un incontro con gli investitori, ha annunciato di voler attendere prima di procedere nel piano di implementazione di Internet veloce. Posizione rafforzata dal vicepresidente di At&t, Jim Cicconi, secondo cui “il piano della Casa Bianca volto a regolamentare internet, sarebbe un tremendo errore che andrebbe a minare lo sviluppo e la sopravvivenza stessa di internet, nonché gli interessi nazionali”. Tacciono, invece, i giganti come Google o Facebook. L’idea di una rete a due velocità, infatti, ha già accesso anche il loro interesse. Google, per esempio, proprio in questi giorni ha modificato il modello di business di Youtube. Accanto al tradizionale consumo gratuito per tutti, da pochi giorni sulla piattaforma sono comparsi anche alcuni canali a pagamento per i video musicali di alta qualità. Sono interessati, quindi, ma per il momento non vogliono prendere posizione.
La posta in gioco. Secondo Obama è sbagliata l’idea stessa di un web a due velocità ma gli interessi in gioco sono molto grandi e non basterà la moral suasion della Casa Bianca per convincere gli imprenditori miliardari che operano su Internet e nel settore delle Tlc a rinunciare ad un obiettivo così interessante. La posta in gioco non è banale. La velocità della rete condiziona il modo stesso di comprare oggetti di consumo e di avere informazioni. Centinaia di milioni di persone in tutto il mondo ormai utilizzano il web per una parte sempre più rivelante delle proprie abitudini quotidiane. Il mondo stesso del piccolo e medio giornalismo, che faticosamente sta cercando sul web un nuovo modello di business e di sopravvivenza, potrebbe venire schiacciato da una rete a doppia velocità. Per non parlare della riforma digitale e online della pubblica amministrazione. In ballo quindi non ci sono solo i dividendi miliardari di alcune delle aziende più grandi del mondo ma anche la visibilità e lo spazio vitale di centinaia di migliaia di aziende editoriali e delle imprese del consumo di massa.
Il confronto Usa-Ue. Le decisioni della Federal Communication Commission (Fcc) sulla “Net Neutrality” erano attese entro la fine dell’anno, ma pare sempre più probabile che siano destinate a slittare al 2015. Il Sottosegretario italiano per le comunicazioni e l’editoria, Antonello Giacomelli, in qualità di presidente di turno del Consiglio dell’Ue per le Tlc, è volato negli Usa e ha incontrato Lawrence E. Strickling, il responsabile per la comunicazione e l’informazione del dipartimento del Commercio dell’amministrazione Obama, per discutere della partecipazione dell’Europa al processo di trasformazione di Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) e per chiedere una “governance multistakeholder” della Rete (cioè di allargare il board della società anche ai rappresentanti di paesi europei). A margine degli incontri “cordiali e positivi” con i rappresentanti del Governo, della Fcc e dell’Icann, Giacomelli ha ammesso di non sapere se si potrà presto arrivare a una sintesi tra la posizione Ue e quella americana. Obama, da parte sua, ha preso una posizione pubblica molto decisa a favore della “Net Neutrality”. Secondo Obama la Fcc dovrebbe riclassificare la banda larga per regolarla come un servizio pubblico essenziale, e vietare gli accordi di “paid prioritization” che rischiano di creare corsie lente e corsie veloci sul web. “Nessun servizio dovrebbe rimanere nella ‘corsia lenta’ perché non paga la quota necessaria”, ha detto. Una presa di posizione a cui Tom Wheeler, presidente di Fcc, ha risposto precisando che su questa vicenda l’Fcc “deve prendersi il tempo necessario” per stabilire le nuove regole. La vera incognita però resta il silenzio dei giganti del web come Google o Facebook. L’interesse di facciata è infatti per una rete aperta al maggior numero di utenti ma l’idea di un web a pagamento potrebbe aprire nuovi scenari di business. L’avidità è un pessimo consigliere e il loro silenzio è definito, dagli esperti, “inquietante e più eloquente dei comunicati ufficiali”.