Dopo averla intervistata la settimana scorsa, torniamo a parlare con la Dott.ssa Martina Pastorelli, fondatrice di Catholic Voice Italia e curatrice del volume “Come difendere la fede senza alzare la voce”. Questa volta tratteremo con lei alcuni temi specifici del libro, in particolare quello del ruolo pubblico della Chiesa.
“Ah va bene, tu la pensi così perché sei cattolico”. Quante volte ce lo siamo sentiti dire, come se fossimo cittadini di serie B o, mi passi l’espressione, dei “minus habens”! Quali sono secondo lei le radici “culturali” di questo snobbismo verso le posizioni dei cattolici?
Le ragioni di questo atteggiamento sono molteplici: forse la più recente è legata alla tendenza di confinare la religione a un qualcosa di meramente privato, soggettivo, il che porta a non riconoscere, come bene per me, il sentimento dell’altro.
Poi gioca certamente il fatto che l’unica forma di sapienza accettata sembra essere quella derivante dal pensiero scientifico, per cui tutto viene ridotto a fattore matematico e nulla si può dire su valori come l’amore, la giustizia, la rettitudine, ecc.
Causa non ultima è la grande misconoscenza delle verità della fede cattolica, che contribuisce notevolmente all’indifferenza e al sospetto verso la Chiesa e i suoi insegnamenti.
Per questo un lavoro di reframing – come quello proposto da Catholic Voices – per vincere i pregiudizi comunicando la bellezza autentica del messaggio cristiano, è indispensabile per riaprire il canale di ascolto da parte dell’altro.
Il punto è che la democrazia moderna deve essere aperta all’universalità di quei contributi che la possano aiutare a creare una società dove la ricchezza del singolo possa essere espressa per il bene di tutta la comunità. Ecco perchè il cattolico può reclamare molto serenamente un ruolo di primo piano nel dibattito politico pubblico.
A pag. 23 leggiamo: “la gente è contraria a una interferenza della Chiesa su ciò che preferirebbe venisse tralasciato, e a favore di una interferenza della Chiesa su ciò che invece vorrebbe venisse affrontato”. Secondo lei cosa si può fare per evitare queste critiche di comodo, e a corrente alternata, in modo tale che la voce dei cattolici ritrovi piena cittadinanza nel dibattito pubblico?
Invitiamo a riflettere su come la Chiesa sia regolarmente accusata di essere ora troppo di sinistra, addirittura progressista (quando difende poveri e immigrati, ad esempio) ora troppo di destra, reazionaria e conservatrice (quando promuove la famiglia naturale o si oppone all’aborto).
Richiamare l’attenzione su questa contraddizione evidente aiuta a capire come in realtà stiamo parlando delle nostre aspettative, anzichè di una effettiva interferenza della Chiesa.
Quanto a far sentire la voce dei cattolici, si tratta di fare appello – molto semplicemente – alla libertà di espressione, ricordando che la Chiesa vuole tenere ben distinte – seppure in dialogo – la sfera religiosa da quella politica.
Qui non si tratta di voler imporre una visione religiosa nella vita pubblica, ma di bilanciare le libertà in una moderna società pluralista, garantendo ai cattolici il diritto di manifestare le proprie convinzioni ed il proprio credo.
Portiamo le persone a chiedersi: una società che vi si appella così spesso, non vorrà mica, in nome della tolleranza, abolire la tolleranza stessa?
A mio avviso un altro spunto molto interessante si trova a pagina 25 dove si può leggere: “La non negoziabilità di certi principi non deriva perciò dalla incapacità dei cattolici al dialogo democratico, ma dal fatto che, negoziandoli, il bene comune si trasformerebbe nel minor male comune”. Può commentare questa affermazione?
Ciò che va fatto notare è che negoziare certi principi equivale di fatto a negoziare la persona, che viene “consegnata” nelle mani di altri, che ne disporranno.
Quei principi chiamati non negoziabili sono le garanzie che non permettono alla società di disumanizzarsi: difendendoli non si nega il dialogo democratico ma lo si eleva, mostrando che essi sono l’unica vera difesa dellla dignità della persona da ogni forma di potere arrogante.
La loro negazione impedisce il progresso morale di una nazione, che si vedrà continuamente costretta a legiferare per limitare i danni e i mali derivanti dall’aver negoziato su quei principi. E ciò che sta già avvenendo, tra l’altro.
A pag. 31 viene citato il bel libro di G. Rusconi “L’impegno” nel quale l’autore dà un’analisi dettagliata di come la Chiesa accompagni la società nella vita di ogni giorno. Secondo lei, quanto è importante far entrare nel dibattito pubblico il concreto contributo che la Chiesa offre?
La Chiesa cattolica è la seconda struttura internazionale di pianificazione e sviluppo dopo le Nazioni Unite, e la seconda agenzia umanitaria dopo la Croce Rossa: è bene ricordarlo a chi chiede di relegare la religione ad un fatto privato o a chi parla della Chiesa come di un corpo estraneo alla dinamica della società, distante dai problemi reali e concreti.
Al contrario, anche in Italia, il contributo pubblico offerto della Chiesa è diventato imprescindibile, specialmente in momenti di crisi economica come quello che stiamo vivendo, basti pensare al punto di riferimento rappresentato dalle mense ecclesiali (persino nelle città più “ricche” della penisola) o all’impegno nella lotta alle nuove povertà con iniziative di vario tipo (empori solidali, erogazione di micro-crediti, fondi di solidarietà). Questa è una presenza concreta e preziosissima, che è sotto gli occhi di tutti.
Anche qui, secondo me, è importante fare appello al buon senso e alla giusta misura: conviene davvero impuntarsi per un’esenzione – penso all’IMU – di cui peraltro beneficia tutto il mondo no profit, o vogliamo guardare a tutti i campi in cui la Chiesa supplisce concretamente alle carenze dello Stato sociale?
Far notare questo non è irrilevante, perchè dal riconoscimento del suo contributo pratico e morale alla società, scaturisce anche il diritto della Chiesa di far sentire la sua voce nel Paese in occasione delle grandi battaglie politiche per il bene comune.
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