I panni sporchi – recita un vecchio adagio – si lavano in casa. Oppure… in televisione. E la differenza non è irrilevante: il piccolo schermo amplifica a dismisura non soltanto la quantità di pubblico, ma anche le reazioni e i comportamenti dei protagonisti, a uso e consumo dello spettacolo. L’ennesima prova di quanto sia profondamente scorretto e potenzialmente dannoso confidarsi a voce alta sotto i riflettori della tv è “Questioni di famiglia”, new entry del palinsesto di Rai 3 (venerdì ore 21).
Condotto da Marida Lombardo Pijola, il programma propone storie famigliari al limite fra la presa diretta e la docu-fiction, con l’aiuto di uno psicoterapeuta e un avvocato matrimonialista. Nelle dichiarate intenzioni degli autori, “racconta, denuncia e accoglie le domande provenienti dalla famiglia e dalle nuove famiglie: monoparentali, ricostruite, allargate, omogenitoriali” e via di seguito con tutti i possibili aggettivi utili a qualificare nuclei famigliari non tradizionali. I temi lungo cui si declinano le storie hanno già una connotazione che tende al patetico: “Ostacoli d’amore”, “Voglio un figlio”, “Genitori e figli”, “Famiglia ferita” e “Separazioni”.
Nel sito web dedicato, la trasmissione è definita “un consultorio diretto con le famiglie italiane” e ancora “un osservatorio del mondo familiare e dei suoi cambiamenti”. Per aumentare la presa sul pubblico, si danno un po’ di numeri a effetto: “Il 50% dei matrimoni finisce con una separazione. Un milione e quattrocentomila figli sono coinvolti in dispute coniugali all’ultimo sangue. Un terzo delle mamme e dei papà, dopo la separazione, si giura reciprocamente odio eterno”.
Insomma, si disegna uno scenario da duello nel Far West per indurre il pubblico a seguire per vedere chi vince. Altro che “consultorio familiare”, come recita la descrizione del programma. Fin dalle prime battute della prima puntata lo spettatore si è trovato di fronte a un tono spettacolar-rissoso nella proposta dei casi al centro del dibattito e a una continua ricerca di sollecitazioni emotive dai toni alti.
Se poi si considera che fra i quattro inviati c’è pure Ilaria Cucchi – la sorella di Stefano, il ragazzo morto durante la custodia cautelare dopo un arresto, al centro delle recenti cronache giudiziarie – i dubbi sulla ricerca di sensazionalismo a tutti i costi diventano certezze. Come può una giovane balzata agli onori delle cronache per la sua (sacrosanta e rispettabile) battaglia alla ricerca della verità sulla morte del fratello trasformarsi in inviata che va ad approfondire situazioni tanto delicate? E come possono agire con lo stesso ruolo un rapper italo-egiziano (Amir Issaa), una ex “iena” (Angela Rafanelli) e un attore di fiction come “Camera Cafè” e “I Cesaroni” (Alessandro Sampaoli)?
Anche la conduttrice appare fuori posto. A lungo cronista della “Gazzetta del Mezzogiorno” e del “Messaggero”, ha raccontato da inviata speciale l’attualità nazionale, specializzandosi poi nelle inchieste su famiglia e minori. Per il suo impegno sociale in favore di questi ultimi ha perfino ricevuto una targa da Telefono Azzurro. Cosa ci fa una giornalista con questo curriculum in una trasmissione che mescola realtà e finzione, testimoni e attori, per raccontare casi drammatici che di tutto avrebbero bisogno tranne che di pubblicità?
L’idea di un programma televisivo che metta a tema le dinamiche dei rapporti famigliari e l’evoluzione della famiglia nella società odierna non è da scartare a priori. Ma, se davvero si vuol proporre uno spazio di serio approfondimento sul tema, non bisogna mescolare contenuti e linguaggi appartenenti a generi diversi. Soprattutto, bisogna cambiare completamente gli intenti e le modalità della proposta. Che peraltro – nonostante le forzature (o forse proprio per quelle) – nella prima puntata non è riuscita ad andare oltre un misero 2,1% di share, corrispondente a un pubblico di 547 mila spettatori. Evidentemente anche gli spettatori pensano che sulla famiglia non si scherza.
Soprattutto se si costruisce un racconto televisivo che culmina, dopo una serie di “disastri familiari”, nella “famiglia perfetta”: quella con due papà e tre bambini (nati, si suppone, con l’utero in affitto). Lo straniamento è totale in questa tv fuori centro. Ma è Rai3, bellezza… Dove i bambini non hanno diritto ad avere una mamma e un papà.
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