Perfino Obama si è reso conto che “non è solo un problema di Ferguson, è un problema dell’America” e se una parte di americani si sente oggetto di discriminazioni, si è tutti a rischio. Si è reso conto che “le frustrazioni che abbiamo visto non sono solo per un particolare incidente, hanno radici profonde in molte comunità”. Radici profonde fondate su disuguaglianze sociali ignorate per decenni, mancanza di opportunità lavorative e discriminazioni razziali nei confronti degli afro-americani, delle popolazioni native, degli immigrati, in un modello culturale che ama mostrare i muscoli fuori e dentro dai propri confini, spesso nei confronti dei più deboli, degli emarginati.
Forse l’opinione pubblica americana, scoprendosi esposta ad una rabbia inconsulta fondata sull’ingiustizia, si sta interrogando su quanto sia vulnerabile al proprio interno. Perché un uso smodato della forza da parte di chi detiene il potere è sempre segno di fragilità. L’ira del popolo non si tiene a bada con armi e manganelli ma con pane e giustizia. È un campanello di allarme che non si può ignorare. Né lì, né da noi.