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Fecondazione assistita, convivenza, scienza… il Vescovo Carlo Bresciani ha risposto alle domande degli studenti

 

 

Trascrizione Alessandra Mastri

MONTALTO DELLE MARCHE – Il vescovo Carlo Bresciani durante un dialogo con gli studenti ha risposto alle domande poste dai ragazzi.

La prima domanda è stata sulla relazione tra fede e ragione.

“Se io non ho fiducia in una persona, io quella persona non la conosco, non riesco ad entrare in contatto con lei. Ogni relazione che noi abbiamo, è un atto di fede, che mi permette poi di conoscere l’individuo. Questo non vuol dire che la Bibbia contenga tutte le spiegazioni razionali del mondo, non posso usare la Bibbia come un manuale che mi spiega il mondo, ma come un testo che mi dà il senso della realtà.
La Bibbia non mi dice chi siete voi, ma mi dice qual è il senso di questa relazione con voi, ed il senso è quello che poi mi permette di conoscere razionalmente, con tutta la mia ragione. Questo senso, il senso delle cose è necessario, per la comprensione delle cose. Ma il senso non è razionale. La fede mi dà il senso, la scienza mi aiuta a comprendere la realtà. In questa direzione, la vita è Gesù, il cui mi dà il senso delle cose, se non conosco il senso, non conosco la realtà. La fede aiuta a conoscere la realtà”.

È giusto che in Italia la Chiesa intervenga su questioni come la fecondazione assistita o l’eutanasia, che appartengono alla scelta della singola persona e al suo individualismo?
Si è giusto. Prima di tutto perché non appartengono soltanto alla scelta della persona; quando si tratta di nascita, Dio decide sulla nascita. Secondo, perché le scelte ricadono anche su di voi, non è soltanto una scelta personale. Terzo, perché la Chiesa parla a coloro che appartengono ad essa, la Chiesa non vuole imporre, ma aiuta a capire il bene o il male. E’ una voce che ha diritto ad essere presente. Perché la Chiesa non può dire quello che pensa, mentre tutti possono dire quello che pensano?  Poi si parla di libertà. Che la Chiesa imponga con la forza, sarebbe sbagliato.

L’infecondità matrimoniale, talvolta, provoca discordia e incomprensione. A suo giudizio, qual è il senso che devono dare alla loro unione gli sposi cristiani che non hanno e non possono avere figli?
Che la non possibilità di avere figli possa essere una prova per la coppia, è vero, perché da che mondo è mondo, quando due persone si vogliono veramente bene, vogliono costruire insieme un futuro, vogliono dei bambini. Il mio professore quando da giovane studente andavo a scuola, ci diceva “ non tutte le donne sono in grado di diventare mamma dei miei figli ”, perché avere un figlio ha a che fare con un progetto comune molto impegnativo. Però c’è un altro aspetto, quando io amo una persona, la amo per quella che è, ci può essere qualcosa che non mi piace di quella persona, nessuno è perfetto, se pensate di trovare la donna o l’uomo perfetto, chiudete subito la baracca, perché non esiste. Io dicevo sempre, quando parlavo ai fidanzati, che, l’uomo più bravo ha minimo 10 difetti e qualche volta gli puzzano i piedi, e la donna più brava idem, per dire che non esiste la persona perfetta. io amo una persona, non la amo per i suoi difetti, la amo per i suoi pregi evidentemente, ma devo saper  accettare i suoi limiti, anche se mi danno fastidio. Se non so farlo, vuol dire che quella persona non la amo. Il senso è, che l’amore è più grande della generazione;  un’adozione, o altri significati di impegno di vita, l’importante è che la coppia costruisca un progetto di vita comune, altrimenti, è vero che una coppia che non può avere figli può andare in grave crisi “o tu mi dai questo o io non ti voglio più bene”, ma non si ama una donna semplicemente perché è fertile, si ama una donna perché è lei, e poi certo, si desidera anche avere figli, ma c’è qualcosa di più, non soltanto quello. Nel matrimonio ci sono delle prove, delle difficoltà da superare insieme, e si possono superare aiutandosi  e sostenendosi l’un l’altro.

Secondo lei perché nella società moderna la convivenza prende sempre più il posto del matrimonio?
Per tanti motivi. Il primo motivo è quello spiegato nell’omelia, si ha difficoltà nel decidersi. In fondo, la convivenza, è “si, ma non ci decidiamo, e ci lasciamo la porta aperta per avere la possibilità di voltarci indietro”, questo è mancanza di impegno verso l’altro “si stiamo insieme, ma…” . La difficoltà a decidersi, oggi è uno degli aspetti più diffusi, ad un certo momento però la vita decide per voi, perché a 20 anni potete decidere alcune cose, a 30 ne potete decidere altre, a 60 molte meno. La seconda è una specie di ideologia che si è instaurata nella nostra società, che non è tanto il decidersi, ma la possibilità di impostare un rapporto affettivo senza farsi carico completamente dell’altro. L’impegno nei confronti dell’altro non deve togliermi la libertà di cambiare. Poi si arriva allo sfascio del matrimonio perché si è costruito in una certa maniera, e non se ne esce più. Dobbiamo renderci conto che, se io metto la mia vita nelle vostre mani, io posso chiedervi cosa avete fatto della mia vita, questa è la responsabilità. Se io non so rispondere a chi mi domanda cosa ho fatto della sua vita, ho agito irresponsabilmente. In fondo il matrimonio cos’è? Io metto nelle tue mani la mia vita, la mia vita poi dipende da te, tu puoi rompere quello che hai detto e io ne soffro. Io mi faccio carico dei miei impegni, onoro il mio impegno, anche se a volte non è facile. Se io non posso fidarmi dell’impegno dell’altro, di conseguenza io faccio fatica ad impegnarmi verso di lui. Più i legami sono deboli meno sono gratificanti, quindi più frustranti, il risultato è negativo.

Non crede che la Chiesa con le prese di posizione sulle questioni scientifiche stia  impedendo il progresso della scienza?
No, non lo credo affatto, perché in fondo qual è il significato della scienza? Lo scienziato che ha inventato la bomba atomica, dopo che è scoppiata la prima su Nagasaki, ha dichiarato “adesso abbiamo scoperto che la scienza ha il suo peccato originale” cioè che la scienza può essere un bene, ma può essere anche un male. Tutte le cose possono far bene o far male, questo non vuol dire che la scienza sia qualcosa di sbagliato. La Chiesa dice “guardate che, se noi non usiamo le conoscenze tecnico-scientifiche che abbiamo a servizio dell’uomo, questa scienza non è buona”. Conoscere non è male, importante è come io uso quelle conoscenze, a servizio dell’uomo. Le conoscenze scientifiche vanno usate per il bene dell’umanità, non per il bene del singolo, altrimenti siamo in balìa dei poteri forti, di chi è più forte, usando la scienza schiaccia gli altri. La Chiesa sta dicendo questo, non per guadagno personale, anzi, ci rimette, ma lo sta dicendo per il bene dell’umanità. La scienza, se è a servizio dell’uomo va bene, ma se non lo è non va bene. Quando io lavoravo nel comitato  etico dell’ospedale civile di Brescia e dovevamo organizzare alcune sperimentazioni scientifiche, io dicevo sempre ai medici “guardate che, voi volete conoscere, ma se per conoscere, mi spaccate la testa, io non son d’accordo”. Non perché la cosa che si scopre non sia vera, ma perché non posso sacrificare l’essere umano.

I principi della scienza devono essere dettati dall’etica o dalla fede?
L’etica non è una teoria. L’etica pone solo questa domanda “che cosa è bene e che cosa non è bene?”. L’etica non alimenta la fede. La fede dice che Dio ama l’uomo, e se Dio ama l’uomo, io non posso farci quello che voglio. Cosa vuol dire allora che un certo modo di agire sia contro l’amore dell’uomo? Tutti noi dobbiamo domandarcelo. L’etica non è un’invenzione, parte dalla domanda che abbiamo dentro ciascuno di noi. È la domanda che precede qualsiasi nostro agire. Senza etica nessuno può vivere.

Secondo lei è giusta la posizione che ha preso la Chiesa nei confronti dell’utilizzo delle cellule staminali?
Le cellule staminali sono quelle cellule che abbiamo nel nostro corpo, che rigenerano i tessuti. Scoprire queste cellule staminali, ed usarle sotto il punto di vista della cura delle persone, è di grande successo. Su questo non c’è nessun problema dal punto di vista etico. Il problema nasce quando si vogliono usare le cellule staminali embrionali, quindi non quelle che ci sono nel sangue o nella pelle. Vuol dire che occorre prendere un embrione, ammesso che abbiano successo, perché gli studi medici hanno dimostrato che sono difficilmente controllabili perché non si riesce ad orientarle adeguatamente, e quindi si sviluppano in una maniera che diventa pericolosa. Però dicono che, con la crescita delle conoscenze, si potranno usare efficacemente. Per prendere le cellule staminali embrionali, bisogna uccidere un embrione, sono poche cellule, non è come un pezzo di pelle, che se lo levo, vivo lo stesso, lì vuol dire esattamente distruggerlo, perché, se ad un embrione porto via le cellule, vuol dire che lo uccido. La domanda è, l’embrione è semplicemente un ammasso di cellule, o è un essere umano? Se è un essere umano all’inizio della sua vita, come indiscutibilmente è, perché tutti noi siamo stati degli embrioni. Noi iniziamo ad esistere dal momento della fecondazione, dal punto di vista biologico, non di fede, nessuno può negare questo. Qualcuno dice “si ma tanto, è all’inizio della vita, quindi si può distruggere”, io dico che non è questione di essere all’inizio o alla fine, non si può uccidere un essere umano per aiutare un altro essere umano. Oltretutto, le staminali embrionali non hanno ancora nessun risultato, invece le staminali prese dal corpo hanno già dato molti risultati dal punto di vista terapeutico, a volte anche straordinari, senza difficoltà. Se ogni donna che partorisce, donasse la placenta, tutte cose da distruggere, noi avremmo una banca di cellule staminali adulte, che potendole utilizzare fino in fondo, quando la scienza ci arriverà, avremo una potenzialità terapeutica enorme, senza danni per nessuno.

Cosa ne pensa della donazione degli organi?
Cito “com’è possibile che da un corpo morto si tiri fuori un cuore vivo?”. Perché se devo fare un trapianto ho bisogno di un organo vivo. Quando una persona muore, non muoiono subito tutte le cellule. La morte non è un momento così, è un processo che è iniziato irrimediabilmente e che piano piano raggiunge tutte le singole cellule del nostro corpo. La domanda è “quand’è che però quel processo è diventato irreversibile”? Se io ho una persona in coma, la rianimo, non è morta. La morte c’è quando tutto il cervello dell’essere umano è morto, non funziona più, definitivamente. La persona è morta perché il cervello è l’organo che coordina tutto il funzionamento del corpo. Se la morte è quella vuol dire che, nel momento in cui il cervello smette di funzionare, il cuore per esempio, non è ancora morto, a quel punto si possono estrarre da un cadavere organi vivi, che servono per i trapianti. Filosoficamente si dice “una persona è morta quando lo spirito si stacca dal corpo”, lo spirito di stacca dal corpo quando, l’organo che presiede a tutte le funzioni vitali del corpo è morto. Un organo che ormai è destinato  semplicemente a marcire, non serve più a colui che è morto, può salvare invece la vita di un’altra persona.

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