“Il Papa ha saputo comunicare con la sua umiltà e con il suo imperturbabile sorriso, anche a dispetto di una grande stanchezza fisica. L’umiltà disarmante dei gesti da lui compiuti ha conquistato anche i diffidenti e i tiepidi. In particolare, vedere insieme il Papa e il Patriarca rafforza la speranza per una piena unità. Senza dubbio l’abbraccio tra loro è l’icona più bella e gravida di speranza, che rinnova l’abbraccio fraterno tra Pietro ed Andrea e spinge ad un più generale abbraccio l’Oriente e l’Occidente, ancora troppo distanti”. All’indomani della visita di Papa Francesco in Turchia (28-30 novembre) a parlare è il presidente dei vescovi turchi, monsignor Ruggero Franceschini, arcivescovo di Smirne e da ormai 4 anni anche amministratore apostolico del Vicariato apostolico di Anatolia che fu retto da monsignor Padovese, assassinato il 3 giugno 2010. Una visita nel segno del dialogo ecumenico e interreligioso che ha permesso al Pontefice di evidenziare il dramma dei cristiani in Medio Oriente.
Sul piano del dialogo interreligioso, qual è stato il messaggio principale lanciato dal Papa e come crede sia stato recepito dalla maggioranza musulmana e dai suoi leader?
“Il Papa ha chiarito innanzitutto che il Cristianesimo non si pone in un atteggiamento ostile nei confronti dell’Islam ma cerca di porre in evidenza valori e insegnamenti comuni. Con altrettanta franchezza ha, però, chiesto ai leader musulmani di condannare esplicitamente ogni forma di integralismo religioso e di strumentalizzazione della religione. Si è trattato di un messaggio chiaro e difficilmente eludibile. In Medio Oriente religione e politica sono troppo intimamente interconnessi. La tradizione di laicità della Turchia può essere ancora una risorsa per quest’area”.
A livello ecumenico ritiene siano stati fatti passi avanti verso la piena comunione?
“La sintonia tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo sembra essere sempre più profonda e concreta. Il Papa ha chiarito che l’unità nella diversità è possibile e che la Chiesa Cattolica non pretende alcuna uniformità. D’altro canto il Patriarca in un’intervista ad Avvenire non ha nascosto che ora si tratta di far maturare il desiderio di comunione nelle rispettive comunità cristiane perché le gerarchie non possono prescindere dal sentire della gente, prima di compiere un passo decisivo. Il timore, da parte ortodossa, è che si compia uno strappo tra i più aperti alla comunione con Roma e i più conservatori. È chiaro che si deve camminare tutti insieme come Chiese verso l’unità e questo può richiedere tempi lunghi per ricucire secolari lacerazioni. La strada verso la piena comunione, però, è stata imboccata e credo che non si tornerà più indietro”.
Con Erdogan – preoccupato per l’islamofobia crescente – il Papa ha parlato di libertà religiosa e sottolineato a riguardo come le scelte del governo turco hanno una valenza particolare e possono favorire pace e sviluppo. Crede che queste parole avranno la giusta eco nei rapporti con le minoranze religiose in Turchia e con la Chiesa cattolica in primis?
“Quello dell’islamofobia è un pericolo concreto. Assalti alle moschee ed episodi di intolleranza in Occidente hanno una forte risonanza sui mezzi di comunicazione qui. Tutto questo, però, è la diretta conseguenza delle immagini distorte che dell’Islam danno gli integralisti e i terroristi. Il modo migliore per vincere l’islamofobia è isolare e neutralizzare questi delatori dell’Islam, che, con le loro azioni, deturpano di fatto l’immagine stessa dell’Islam. Quanto alla libertà religiosa, attendiamo speranzosi di vedere riconosciuti la personalità giuridica della Chiesa ed il diritto ad un insegnamento più pluralistico. In proposito, ci sono stati dei colloqui in un recente passato ma la Chiesa Cattolica continua ad essere considerata straniera e ospite in questo contesto”.
Questa visita avrà delle ricadute positive sulla Chiesa cattolica turca? Le Chiese del mondo mostreranno ora più attenzione al “piccolo gregge” turco?
“Durante i giorni della visita del Santo Padre i riflettori della Chiesa e del mondo sono stati puntati sulla Chiesa di Turchia, che soffre non di rado di una profonda solitudine ecclesiale e di una scarsa rilevanza sociale. La presenza del Papa ha attirato in modo positivo l’attenzione anche dei media turchi ed ha mostrato che la Chiesa è parte viva di questa società, desiderosa di contribuire alla costruzione di una società pacificata e coesa. Molti ci guardano con minore diffidenza dopo che il Papa ha mostrato il suo profondo rispetto per la nazione turca, visitando il mausoleo di Ataturk. Inoltre va ricordato che la Chiesa Cattolica di Turchia dipende quasi del tutto dalla solidarietà e dalla collaborazione delle diocesi di altre nazioni. La speranza è che la visita del Papa abbia sollecitato una maggiore sensibilità ecclesiale nei confronti di questa Chiesa minoritaria e in diaspora in modo che molti prendano a cuore le sorti della presenza cristiana in questa terra in cui la Chiesa ha mosso i suoi primi passi”.