Risanare gli impianti dell’Ilva di Taranto con fondi statali, per poi vendere ad acquirenti privati. Questa è l’idea del premier Matteo Renzi, in merito al futuro dello stabilimento siderurgico. Opinione espressa in un’intervista rilasciata qualche giorno fa al quotidiano “La Repubblica”. Negli scorsi mesi vari nomi dell’industria pesante internazionale avevano corteggiato Ilva. Dopo l’uscita di scena del gruppo Jindal, qualche giorno fa, sul tavolo del commissario straordinario Piero Gnudi è giunta la richiesta di acquisto della franco indiana Arcelor Mittal, affiancata dal gruppo Marcegaglia. Un’offerta non vincolante in cui però è emerso come il piano ambientale venga considerato troppo oneroso. Anche l’Arvedi, che con una lettera ha rinnovato il suo interesse, ha voluto rimarcare che all’interno della propria squadra vorrebbe anche la Cassa Depositi e Prestiti. Chi acquista lo fa per garantirsi un profitto, dettando le proprie condizioni.
La reazione di Taranto. In città, come si avvertono questi ennesimi colpi di scena? L’arcivescovo della diocesi ionica, monsignor Filippo Santoro, guarda con speranza all’intervento statale. “Renzi dimostra attenzione per la nostra città e indica una possibilità che sinora non si è realizzata, perché finora non abbiamo visto un serio intervento dello Stato per la piena realizzazione dell’Aia. Ci aspettiamo nuove tecnologie che per lo meno riducano, se non eliminino del tutto, l’impatto ambientale; un intervento radicale che renda possibile la produzione senza una ricaduta negativa sull’ambiente, che ha mietuto tante vittime dalle nostre parti”. Poi lo sprone a guardare oltre: “Quello che occorre adesso è che ci sia una revisione dell’intera politica industriale italiana e del Sud – prosegue Santoro – che si pensi ad una produzione industriale compatibile con la vocazione del nostro territorio, che è orientato al turismo, all’agricoltura, alla piccola e media impresa. Dobbiamo andare nella direzione di un futuro che metta al centro non il lucro dell’impresa ma la difesa del bene comune, della natura, del mare, dell’aria e della vita in tutte le sue manifestazioni”. “Non ci interessa chi pagherà per mettere a norma gli impianti – afferma Lunetta Franco, presidente del circolo cittadino di Legambiente – ma che non ci si tiri indietro di fronte a precise responsabilità. Un’Autorizzazione Integrata Ambientale meno rigorosa è inaccettabile e Federacciai e Mittal non dovrebbero avere il coraggio di chiedere una cosa del genere, a fronte della situazione sanitaria allarmante in cui vive il territorio ionico. Se la considerazione di Renzi parte dal presupposto che gli indiani siano indisponibili a mettere denaro per gli adeguamenti, allora si tratterebbe di una situazione obbligata ma questo ancora non possiamo saperlo. Quello che chiediamo sono certezze sull’adeguamento alle prescrizioni dell’Aia ed un assetto proprietario stabile, serio e rigoroso che non faccia alcuno sconto in termini di ambiente e salute”.
L’opinione dei sindacati e della società civile. “Renzi finalmente dice quello che noi ripetiamo da due anni – sottolinea Donato Stefanelli, segretario generale provinciale dalla Fiom Cgil – ora si tratta di capire con quali strumenti si intende realizzare questa idea e quali scelte politiche verranno messe in atto, affidandosi al Fondo Strategico Cassa depositi e prestiti”. “Come sigle sindacali unite – ammonisce il segretario provinciale della Fim Cisl Mimmo Panarelli – abbiamo chiesto un incontro urgente con il ministro Federica Guidi e con il commissario Gnudi, per conoscere quali siano i numeri delle offerte delle cordate per l’acquisto di Ilva ed il perché si sia arrivati a questo punto. Se parliamo di nazionalizzazione, siamo contrari. È un’esperienza che già abbiamo vissuto (conclusa con la ‘svendita’ dell’allora Italsider da parte dell’Iri ai Riva, ndr). Se invece Renzi si riferisce all’intervento dello Stato con una quota all’interno di una nuova società, siamo assolutamente favorevoli. Sarebbe un’ulteriore garanzia a tutela dei tarantini, perché si realizzi l’Aia”. Cataldo Ranieri, portavoce del Comitato dei cittadini liberi e pensanti, teme un ‘ritorno al futuro’. “Un film già visto – dice – ma a differenza del passato, non ci sono più 40mila persone da tutelare. Dal ’95 ad oggi come lavoratori siamo scesi di un terzo e non si vedono prospettive di crescita occupazionale. Investire miliardi di soldi pubblici in qualcosa che non ha domani, che senso ha? Si spenda nelle bonifiche e in nuova occupazione, piuttosto”.
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