Zenit di Salvatore Cernuzio
Da ogni viaggio si torna sempre un po’ arricchiti. Di qualcosa di bello, di qualcosa di nuovo, di qualcosa da ricordare. Specialmente se si intraprende un viaggio come la Turchia, come quello recentemente affrontato da Francesco, in cui l’obiettivo era andare come pellegrino di pace tra diversi popoli di diverse fedi, per rinnovare un dialogo non sempre facile da mantenere.
Attese alte in una terra quasi totalmente devota all’Islam, ma che “è cara ad ogni cristiano”, sottolinea il Papa nella sua catechesi dell’Udienza generale di oggi. Come consuetudine il Vescovo di Roma riporta il suo diario di bordo ai “coraggiosi” fedeli assiepati sotto ombrelli colorati in piazza San Pietro, nonostante il brutto tempo.
Con loro, condivide gioie e auspici dopo questa visita che aggiunge un nuovo mattone al ponte tra Oriente e Occidente costruito, poco a poco, dai suoi predecessori: “il beato Paolo VI e san Giovanni Paolo II, che si recarono entrambi in Turchia, e san Giovanni XXIII, che fu Delegato Pontificio in quella Nazione”. Loro, afferma Bergoglio, “hanno protetto dal cielo il mio pellegrinaggio, avvenuto otto anni dopo quello del mio predecessore Benedetto XVI”.
Prima di raccontare i punti salienti della sua visita sul Bosforo, tuttavia, il Santo Padre fa una premessa: “Come avevo chiesto di prepararlo e accompagnarlo con la preghiera – esorta i fedeli – ora vi invito a rendere grazie al Signore per la sua realizzazione e perché possano scaturire frutti di dialogo sia nei nostri rapporti con i fratelli ortodossi, sia in quelli con i musulmani, sia nel cammino verso la pace tra i popoli”.
Ringrazia poi per la calorosa accoglienza ricevuta, forse anche un po’ inaspettata, e si dice riconoscente al presidente Erdogan e alle altre Autorità “che mi hanno accolto con rispetto e hanno garantito il buon ordine degli eventi”.
Con la mente torna poi nella ‘terra della mezza luna’, dove oggi i cattolici costituiscono lo 0,07% della popolazione, ma che in passato – ricorda il Papa – diede i natali all’apostolo Paolo, ospitò i primi sette Concili e custodisce, vicino ad Efeso, quella che la tradizione identifica come la ‘casa di Maria’, ovvero il luogo dove la Madonna visse dopo la venuta dello Spirito Santo.
Al di là delle questioni religiose, ciò che a Francesco interessava affrontare in Turchia era il difficile tema delle violenze e delle persecuzioni subite dalle minoranze in Medio Oriente, cristiani e yazidi soprattutto, di cui larga parte si è rifugiata proprio al confine del paese.
Una situazione drammatica che il Papa ha fatto presente alle Autorità nel suo discorso alla Diyanet, il primo giorno di viaggio, in cui ha rimarcato la necessità che “cristiani e musulmani si impegnino insieme per la solidarietà, per la pace e la giustizia, affermando che ogni Stato deve assicurare ai cittadini e alle comunità religiose una reale libertà di culto”. Perché, sottolinea, “è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza”.
Oltre ad uno sforzo comune per combattere tali tragedie, obiettivo del Pontefice era anche rinvigorire il dialogo ecumenico. Per questo, il secondo giorno, racconta, “ho visitato alcuni luoghi-simbolo delle diverse confessioni religiose presenti in Turchia. L’ho fatto sentendo nel cuore l’invocazione al Signore, Dio del cielo e della terra, Padre misericordioso dell’intera umanità”.
Centro della giornata è stata soprattutto la Celebrazione Eucaristica nella Cattedrale dello Spirito Santo ad Istanbul, che ha visto riuniti pastori e fedeli dei diversi Riti cattolici presenti in Turchia, tra cui il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, il Vicario Patriarcale Armeno Apostolico, il Metropolita Siro-Ortodosso ed esponenti Protestanti. Tutti insieme hanno invocato lo Spirito Santo, “Colui che fa l’unità della Chiesa: unità nella fede, unità nella carità, unità nella coesione interiore”, evidenzia il Papa. E rimarca: “Quello che fa tutto è lo Spirito Santo”, a noi, popolo di Dio, “tocca lasciarlo fare, accoglierlo e andare dietro le sue ispirazioni”.
Proprio in quest’ottica, il terzo e ultimo giorno, festa di Sant’Andrea Apostolo, Francesco si è voluto dedicare al consolidamento dei “rapporti fraterni tra il Vescovo di Roma, Successore di Pietro, e il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, successore di Andrea, fratello di Simon Pietro, che ha fondato quella Chiesa”. “Ho rinnovato con Sua Santità Bartolomeo I l’impegno reciproco a proseguire sulla strada verso il ristabilimento della piena comunione tra cattolici e ortodossi”, afferma, ricordando anche la firma della Dichiarazione congiunta, avvenuta al termine della solenne Liturgia della festa del Patrono del Patriarcato – “alla quale ho assistito con grande gioia”, dice -, seguita da una Benedizione ecumenica dal balcone del Fanar.
Momenti di grande significato, questi. Mai però quanto l’incontro con un gruppo di giovani profughi di diverse nazionalità, ospiti dell’Oratorio dei Salesiani dietro la Cattedrale. Un appuntamento che, svolto un’ora prima della partenza per Roma, ha scosso il cuore del Pontefice. Un incontro “bello e doloroso”, lo definisce infatti. “Era molto importante per me incontrare alcuni profughi dalle zone di guerra del Medio Oriente, sia per esprimere loro la vicinanza mia e della Chiesa, sia per sottolineare il valore dell’accoglienza, in cui anche la Turchia si è molto impegnata”.
Il Papa sente quindi di ringraziare ancora una volta la Turchia per l’accoglienza dei rifugiati, in particolare questi Salesiani di Istanbul che lavorano con i profughi: “Sono bravi, eh!”, e “quell’oratorio è una cosa bella, è un lavoro nascosto”.
La preghiera è rivolta dunque a tutti i missionari e volontari impegnati in queste cause umanitarie, ma soprattutto va ai numerosissimi profughi e rifugiati, perché – auspica il Santo Padre – “siano rimosse le cause di questa dolorosa piaga”. Quindi l’invocazione a Dio onnipotente e misericordioso, affinché “continui a proteggere il popolo turco, i suoi governanti e i rappresentanti delle diverse religioni. Possano costruire insieme un futuro di pace, così che la Turchia possa rappresentare un luogo di pacifica coesistenza fra religioni e culture diverse”.