La corruzione si può combattere perché – nonostante tutte le apparenze – “non è nel Dna italiano, è una deviazione resa possibile dall’indebolimento della coscienza civile”. All’indomani dell’ennesimo grave episodio di malaffare venuto alla luce, con una cupola affaristico-mafiosa a Roma, il Sir incontra Lorenzo Biagi, docente e segretario generale della Fondazione Lanza, autore (per le Edizioni Messaggero Padova) di un volume titolato – semplicemente quanto efficacemente – “Corruzione”. Sullo sfondo della cronaca, i richiami di Papa Francesco, che proprio ai corrotti dedica parole di una durezza inusitata. Ed è dalle parole del Papa che parte la riflessione.
Bergoglio condanna senza appello la corruzione: “Potremmo dire che il peccato si perdona, la corruzione non può essere perdonata”…
“Questo Papa ha maturato una consapevolezza molto forte circa lo spessore di questo male così speciale che è la corruzione, la cui peculiarità è di essere ‘abituale’, un costume continuativo, contagioso. La gravità sta nel fatto che diventa come una seconda natura nella coscienza della persona, che abituandosi a questo male pensa di essere Dio. Questo è il peccato più grave: credersi Dio in maniera immanente, pensarsi intoccabili, capaci di potere tutto, asservendo tutte le persone ai propri scopi. Il peccatore commette azioni malvagie, ma resta nella sua coscienza quel barlume che potrà spingerlo a chiedere perdono; il corruttore e il corrotto, invece, sono portati a credere di non avere bisogno di Dio e, quindi, di perdono”.
La gravità della corruzione, “male dell’anima”, sta quindi nel sostituirsi a Dio?
“Esattamente. Le diverse scienze la leggono a partire dalle azioni; il Papa invece riconduce la questione al cuore: non riguarda solo l’esteriorità dell’agire, ma la disposizione dell’animo, intacca la coscienza mettendola a tacere, e così scattano meccanismi di ego-latria, in cui il corruttore pensa di essere al centro del mondo”.
Quando scoppiò “Mani pulite” sembrava che si fosse toccato il fondo, con corrotti e corruttori che si giustificavano bollando quel malaffare come costume diffuso. Tutto questo non è servito a far maturare una coscienza nella società?
“Questa è la vera questione che il nostro Paese deve affrontare con coraggio: la logica del ‘così fan tutti’, che alimenta lo stile ‘abituale’ della corruzione, che tende a insinuarsi attraverso comportamenti quotidiani. In secondo luogo bisogna prendere coscienza che la corruzione è umana: chiamarlo male, come fa Papa Francesco, significa essere consapevoli che non facciamo mai abbastanza per contrastarlo e sradicarlo”.
Ovunque si può nascondere la corruzione. Ma in Italia sembra che non ci siano alternative: pensiamo – tra i casi recenti più eclatanti – ai lavori per il Mose, all’Expo e, ora, a Roma. Sembra che, laddove ci sono i grandi affari, ci sia inevitabilmente grande corruzione. È così?
“Il popolo italiano ha un grosso problema con l’etica civile, è debole il senso dell’essere cittadini. Certamente il clima culturale individualistico non aiuta, spingendo solo a rivendicare diritti, dimenticandosi dei doveri. L’etica civile è quella sorta di grammatica elementare che governa la coscienza del cittadino, il quale riconosce di avere anche doveri. Questa è la vera sfida. Veniamo purtroppo da una storia di coscienza civile assai fragile: si dice che l’Italia sia una società a giuridicità debole. Ora, a fronte dell’emersione di tutto questo male divenuto fin troppo abituale nel nostro Paese, occorre una grande rinascita dello spirito civile, una ripresa dell’ideale e del valore del bene comune, altrimenti non ci si può sentire legati ad alcuna responsabilità”.
E i cattolici cosa possono fare?
“Forti anche della riflessione di Papa Francesco sulla corruzione, devono rilanciare una presenza civile rinnovata, a partire da un servizio di base tra la gente per far conoscere, apprezzare e applicare questa etica civile”.
L’etica civile, dunque, è la cura possibile di questa “malattia dell’anima”?
“È la cura culturale, del corpo civico. Per intervenire sul ‘male dell’anima’, invece, le nostre comunità cristiane devono far comprenderne la gravità, predicando la conversione, annunciando che la fede cristiana dà la possibilità, anche a chi è entrato in questa spirale mortale, di riscattarsi se accetta la proposta di misericordia e cambia vita”.
Ma l’Italia, alla fine, potrà liberarsi dalla corruzione o sarà destinata sempre a fare i conti con quella “giuridicità debole”?
“È vero che le notizie di corruzione sgomentano, ma è anche vero che nel nostro Paese ci sono tantissime esperienze, realtà e persone che nel quotidiano continuano a credere e impegnarsi affinché si divenga una comunità civile non più ostaggio della mafia, della corruzione, di tutto quel malaffare che oggi conosciamo. Come cattolici dobbiamo prendere in mano un nuovo protagonismo civico, imperniato su quello che la ‘Gaudium et Spes’ ha definito umanesimo della responsabilità. Non possiamo assolutamente rassegnarci a credere che questo Paese sia perduto”.
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