Ma che cosa è la povertà? Che valore ha all’interno della visione cristiana? È necessaria per ottenere la salvezza? È una categoria sociologica o teologica? Perché fa così presa su fedeli e anche sui non credenti? Le risposte a queste domande ci possono venire dalla lettura dell’episodio del giovane ricco riportato in tutti i vangeli sinottici.
Un giovane domanda a Gesù cosa debba fare per avere la vita eterna. Questa prima preoccupazione del protagonista verte sul tema della salvezza: egli vuole sapere cosa gli è richiesto per entrare in paradiso. Gesù gli risponde che, per raggiungere questa meta, egli deve rispettare il decalogo.
Allora il cuore di quel giovane si riempie di gioia, perché nella sua vita ha sempre rispettato i comandamenti. Eppure egli cerca qualcosa di più. Da una parte si sente salvo, dall’altra vuole migliorare ulteriormente la sua posizione davanti a Dio. Per dirla in termini scolastici, è sulla sufficienza, ma aspira all’ottimo. Per questo chiede a Gesù cosa debba fare per ottenere ciò.
Nella versione secondo Matteo, Gesù risponde così: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo. Poi vieni e seguimi”. Si tratta di una sorta di climax ascendente che si può sintetizzare nelle parole rinuncia/buona azione/sequela.
Ed è esattamente questa la chiave di lettura dell’intero racconto: il Signore chiede al giovane ricco di essere considerato come l’unica cosa indispensabile nella vita. La persona di Cristo rappresenta il termine ad quem di tutta la questione.
Per questo, la povertà, cristianamente intesa, significa immergersi completamente in Cristo e attendere da lui e dalla sua amicizia ogni gioia. La povertà cristiana non è rinunciare a qualcosa, ma abbracciare Qualcuno di più grande.
Possiamo quindi dire che la povertà cristiana è una categoria teologica e non sociologica, cioè trova il suo ultimo fondamento nella persona di Cristo e non in una condizione economica svantaggiata. Fuori da questo orizzonte cristologico non ci sarebbe povertà cristiana, ma solo miseria, pauperismo o addirittura un disprezzo gnostico per i beni creati.
Si può inoltre aggiungere che la povertà, insieme al martirio, è la massima testimonianza che il cristiano può dare, perché se col martirio dona la vita, cioè ciò che egli è, con la povertà dona ciò che possiede, cioè ciò che egli ha.
Alla luce di ciò possiamo concludere dicendo che la povertà di Papa Francesco affascina così tanto perché testimonia quanto la sua persona sia radicata in Cristo, e mostra come la sua principale preoccupazione sia la gloria di Dio, senza alcuna altra velleità temporale.