Pausa pranzo: nella hall del centro congressi romano dove si tiene il convegno sul tema delle periferie, che Papa Francesco indica come luoghi d’incontro con un’umanità ferita e smarrita, le suore gustano i panini preparati a casa e avvolti in un fagottino con una mela o un’arancia.
Non c’è neppure il primo piatto caldo.
Molte portano il velo, di diversi colori, altre non lo indossano più. Si formano piccoli cerchi di volti che esprimono la bellezza e il vigore delle diverse età.
Uno spettacolo che non capita di vedere spesso. Le suore sono riunite, con i religiosi, per l’annuale convegno promosso dalla Cism (Confederazione italiana superiori maggiori) e dall’Usmi (Unione superiore maggiori italiane), le due sigle che raccolgono tutte le famiglie religiose che sono in Italia.
In assemblea hanno preso la parola per raccontare le loro esperienze di accoglienza, di tenerezza, di ascolto sulle strade, nei quartieri ai margini della città, nei campi rom, lungo i marciapiedi della prostituzione, nelle carceri disumane, nelle scuole dove si educano i ragazzi e i giovani all’accoglienza.
Nei loro interventi non entrano nei dettagli delle fatiche e delle sofferenze di tante persone incontrate perché c’è la dignità degli ultimi da rispettare. Soprattutto quando è messa alla prova da fragilità, debolezze, ferite.
Ma come allora raccontare mediaticamente il tanto bene che esiste nel nostro Paese se tutto rimane dentro una sala congressi? Come si fa a trasmettere un messaggio di umanità a un Paese dove crescono le paure, i rifiuti e gli egoismi solidali? Come si fa a scuotere la coscienza della gente, degli uomini e delle donne della politica e delle istituzioni quando si ritengono a posto solo perché guardano con benevolenza queste suore che ogni giorno sono immerse nelle più diverse periferie esistenziali?
Tutto sommato le suore non danno fastidio, non disturbano, non scendono in piazza. Ma le suore non sono ingenue e remissive: sono capaci di provocazione e d’indignazione nello spirito del Vangelo. Questa grinta viene dall’essere pronte a raccogliere quanti vengono lasciati fuori dalle notizie. Essere ai bordi della cronaca significa per queste donne e cittadine prendere la parola per dire ai media, alla società e alla cultura del nostro Paese che è grande il rischio dell’affievolirsi se non dello spegnersi dell’umanità.
Le suore che stanno con gli ultimi, nessuno escluso, non sono le barelliere della storia. La cura dell’altrui fragilità diventa un grido che arriva alla coscienza degli indifferenti.
Non hanno mezzi mediatici, se non i loro siti e le loro pubblicazioni ricche di racconti di gratuità, ma pongono una domanda severa ai media nel ribellarsi al loro gioco sottile che le considera così tanto esemplari e così tanto eccezionali da metterle fuori dalla cronaca anche se ne sono impastate.
La loro richiesta va in profondità, pone una questione di professionalità perché nella ricerca della verità i media non dovrebbero ignorare il positivo dell’uomo: verrebbero meno al loro duplice compito etico di denunciare il male e annunciare il bene. Che, ai bordi della cronaca e nel cuore delle periferie, siano le suore a ricordarlo non è poca cosa. In un tempo in cui le valanghe del marcio e degli egoismi solidali sembrano inarrestabili, la tenerezza di queste donne e cittadine diventa un argine solido.