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L’Argentina ricorda “Don Jaime”, pastore alla fine del mondo

Maribé Ruscica

“Don Jaime”: così era chiamato monsignor Jaime De Nevares, il primo vescovo della diocesi patagonica di Neuquen, creata da Giovanni XXIII nel 1961. Ha guidato la diocesi fino al 1991. Nel 2015 si celebreranno in Argentina i 100 anni della sua nascita; la sua vita, esempio di lotta per la giustizia e i diritti umani e di denuncia delle situazioni di povertà nella sua provincia e nelle comunità originarie “mapuches”, sarà ricordata con diverse manifestazioni. Promosse dall’attuale vescovo della diocesi, monsignor Virginio Bressanelli, le celebrazioni avranno inizio il 20 gennaio con una Messa nella città “Las Ovejas”, nel giorno della festa di San Sebastiano.

Vicino ai lavoratori.
Morto nel 1995 a 80 anni, De Nevares era nato a Buenos Aires il 29 gennaio 1915 e aveva studiato con i Frati Maristi, in una scuola di grande prestigio, il “Champagnat”. Laureato in legge nel 1943, era entrato nella Congregazione Salesiana nel 1947 e aveva partecipato come padre conciliare alle quattro sessioni del Concilio Vaticano II. Giunse in Patagonia nel 1961 e prese a operare subito in favore dei più bisognosi. Nel 1968 intervenne alla Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano a Medellìn. Nel 1970, in piena dittatura militare argentina, decise di accompagnare i lavoratori della centrale idroelettrica “El Chocon” in uno storico sciopero, nel contesto di un conflitto in cui si reclamava soprattutto sicurezza sul lavoro, dopo la morte di otto operai.

Impegno a tutto campo. Fondatore dell’Assemblea permanente per i diritti umani, di cui fu presidente nel 1975, monsignor De Nevares ha creato anche il “Movimento Ecumenico per i Diritti Umani” ed è stato membro nel 1983 e 1984 della Commissione nazionale sulla scomparsa di persone che collaborò nelle ricerche relative a persecuzioni, torture e sparizioni ad opera del regime militare (1976-1983). Appartiene a quel periodo un aneddoto molto conosciuto che riferisce di un incontro del presule con la consorte del dittatore Videla in visita nella cattedrale di Neuquen: la signora, rispondendo a quello che diceva il vescovo sulle sofferenze delle madri che non sapevano dove erano i propri figli “desaparecidos”, gli disse con arroganza: “Monsignore, Io so bene dove sono i miei figli”. Allora, monsignor De Nevares la piantò in asso, allontanandosi immediatamente.

Coerenza evangelica.
La sua testimonianza di coerenza evangelica rimane una delle qualità più ricordate di monsignor De Nevares: credeva e viveva ciò che credeva. Era stato conquistato dalla gente umile della provincia di Neuquen, dalla loro “autenticità” e dalla loro “gioia”, come lui stesso ripeteva, e serviva questa gente, convinto che essere un uomo di Dio significava essere della gente. Alla fine della sua vita, quando i registi del documentario “Jaime De Nevares. Ultimo viaggio”, ispirato alla sua storia, chiesero al caro “don Jaime” quali linee avesse seguito, quali direttive nella sua attività pastorale, egli rispose che aveva “soppesato le cose a mano a man che venivano” e che i missionari in Patagonia erano stati di grande aiuto nel suo orientamento.

Il ricordo dei “mapuches”.
Forse le parole semplici dei rappresentanti della comunità “mapuche”, invitati in quel film a esprimere un saluto al vescovo di 75 anni già dimesso, possono aiutare a capire le “linee” seguite dal pastore: “Prima dell’arrivo di monsignore, in tante cose c’era ingiustizia, ma Dio si è ricordato di noi e ci ha inviato il suo Pastore”. Anche se negli ultimi giorni la voce dei popoli originari (“mapuches”) della Patagonia argentina è tornata di attualità per la restituzione da parte del Museo della provincia di Buenos Aires dei resti mortali di “Inacayal”, il loro “cacique” (capo) morto prigioniero nel secolo XIX, la speranza per i più umili figli di queste terre della fine del mondo sembra dipendere ancora dall’opera e dalla lotta di pastori come don Jaime de Nevares.

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