Con l’inchiesta “Mafia capitale” in corso a Roma e le varie implicazioni con il mondo della cooperazione sociale e la gestione delle varie emergenze (rifugiati, immigrati, rom, neve, verde pubblico) è forte il rischio che si faccia di tutta l’erba un fascio. Circolano rumori di fondo che potrebbero attribuire l’etichetta svilente di “professionisti della carità” anche a realtà serie e consolidate del sociale. Ne abbiamo parlato conFrancesco Marsico, responsabile dell’area nazionale di Caritas italiana.
Alcune cooperative sociali sono corrotte. Perché la Caritas non lo è?
“Primo: l’esistenza del male non può far dire che tutte le persone sono colluse o agiscono male. Si prende atto dei comportamenti illegali e criminali ma non si può dire che quei comportamenti siano di tutta la collettività, Caritas compresa. Secondo: la questione ‘Mafia capitale’ riguarda il rapporto tra alcuni soggetti di cooperazione sociale con le pubbliche amministrazioni, attraverso modalità non regolari, dettate dall’emergenza con bandi inesistenti e aggiudicazione privata di risorse pubbliche. Da alcune intercettazioni trapela un patto scellerato sulle emergenze (immigrati, rom, neve) al di fuori di regole trasparenti e ordinarie di convenzionamento”.
Come agisce invece la Caritas?
“Gli enti gestori delle Caritas diocesane agiscono dentro un quadro di normativa costituita da sovvenzionamenti, bandi, ecc. Le comunità cristiane, inoltre, promuovono realtà non totalmente dipendenti dal finanziamento pubblico. Questo rappresenta un ulteriore elemento di differenza. ‘Mafia capitale’ fa emergere il fatto che una parte della cooperazione italiana dipende solo dal finanziamento istituzionale. Le comunità cristiane producono invece servizi autonomi e con una storia più antica”.
Quali cautele prendete per non entrare a contatto con dinamiche sospette, specie nelle emergenze: con i rifugiati, gli immigrati, i rom?
“Prima di tutto da anni chiediamo politiche per una gestione ordinaria dell’immigrazione, che riducano al minimo l’utilizzo emergenziale delle risorse, diano garanzie alle persone che arrivano e trasparenza negli atti. Gli sbarchi durante i mesi primaverili ed estivi non sono una iattura occasionale: è un dato permanente del Mediterraneo. La grande domanda è: perché i governi che si sono succeduti fino ad ora – tranne l’encomiabile vicenda dell’operazione ‘Mare nostrum’ – hanno legato l’intervento in mare a forme emergenziali? Secondo: le Caritas diocesane scelgono di collaborare con soggetti conosciuti che fanno riferimento alle proprie reti territoriali. Ci si affida a persone che hanno dimostrato nel tempo affidabilità e riferimento valoriale. Questo non vuol dire che non potrà mai accadere, ma le percentuali di rischio sono sicuramente minori”.
Come curate la trasparenza dei bilanci?
“I soggetti che gestiscono le risorse legate alle Caritas sono associazioni o cooperative sociali sottoposte alle norme di trasparenza in vigore nello Stato italiano. Alcune Caritas diocesane – tra cui Pescara o Vicenza – pubblicano addirittura bilanci aggregati reperibili in rete. I bilanci diocesani delle Caritas – che non sono soggetti giuridici ma uffici di curia – sono già disponibili. Caritas italiana pubblica il bilancio sul proprio sito. Gli elementi di trasparenza stanno crescendo nel tempo”.
Cosa imparare dalla dolorosa lezione di “Mafia capitale”?
“Mafia capitale marca un ‘prima’ e un ‘dopo’. Se fino ad ora il termine cooperazione evocava l’appartenenza a un mondo di valori che di per sé garantivano dei risultati, la sfida dei prossimi anni è dimostrare questi valori con i fatti. Se si ci limita solo a gestire le risorse, il rischio che un giorno ci si auguri solo una qualche emergenza per sopravvivere diventa molto forte. Anche le Caritas dovranno continuare ad approfondire questo tipo di sfida. Per il futuro bisognerà quindi valutare il ruolo delle strutture in termini di efficacia. Quando la cooperazione si limita a gestire risorse senza sviluppare attività di promozione della persona non serve. Se, ad esempio, diamo lavoro stagionale agli immigrati ma non ci preoccupiamo del loro futuro, non li liberiamo dal bisogno. Il vero obiettivo è accogliere e promuovere la dignità e i diritti delle persone”.
Perché alle mense Caritas viene chiesto il modello Isee?
“È un controllo per garantire la legalità. È necessario verificare le condizioni di bisogno delle persone che utilizzano prodotti alimentari che arrivano dagli aiuti europei. È un onere assunto dagli enti caritativi al posto degli enti locali: capisco che può risultare un aggravio ma è un elemento di corretto utilizzo delle risorse. Si può discutere se è buono o meno. Ma se le Caritas non facessero nessuna verifica ci sarebbe qualcuno che direbbe il contrario: si danno pasti gratis a chi non ha bisogno. Qual è il male minore? Chiedere un sacrificio ulteriore a chi è povero o rischiare di allocare risorse pubbliche in maniera erronea? Avere delle regole è l’unico antidoto per limitare comportamenti opportunistici o criminali. In ogni caso il senza tetto non deve dimostrare niente perché non ha dimora ed è in una condizione di facile verifica. E chi non sa come fare può essere aiutato dai servizi caritativi, che spesso fanno azione di segretariato sociale e accompagnamento. Bisogna scegliere: o si sta dalla parte di chi dice che i soldi devono essere spesi bene e in maniera efficace o dalla parte di chi non vuole regole. Ma questo apre la stura ad un rischio elevato di cattiva allocuzione di risorse”.
La Caritas è da sempre in cima alla fiducia dei donatori: temete effetti negativi dopo “Mafia capitale”?
“In questa vicenda non c’è stato nessun tipo di riflesso sulla Caritas di Roma e i soggetti ad essa collegati. Il danno grave è il rischio di imputazione generale nei confronti della cooperazione sociale sul piano culturale. Nello specifico non ci preoccupa: non per presunzione ma perché obiettivamente i comportamenti delle Caritas negli anni sono stati trasparenti. Gli errori fatti in passato sono stati o di eccessiva generosità oppure di maggiore difficoltà – con amministrazioni non sempre disponibili su questi fronti – a tenere fermi i diritti delle persone. Ci auguriamo che le persone sappiano discernere che, se il male esiste, non viene esercitato da tutti”.