Da giornalista e scrittore ha accompagnato, negli anni, il dibattito pubblico sul tema della disabilità contribuendo a inaugurare una stagione nuova che, grazie all’intelligenza lucida che lo caratterizzava e all’attenzione costante all’uso del linguaggio, sta portando ora i primi frutti sperati. Ancora pochi si dirà, e questo è vero. Ma se in Italia si è iniziato a ragionare attorno all’idea che i diritti appartengono alle persone in quanto tali, non perché esse siano disabili o meno, lo si deve in larga misura al comunicatore formidabile che è stato Franco Bomprezzi. Il suo impegno, che prima di essere personale era civico e politico, lo ha portato a vivere una lunga martingala dei diritti. Una scommessa vinta, su questo non c’è dubbio.
“Liberi di volare” è il nome della stanza numero 15 del Centro clinico Nemo al Niguarda in cui si è spento. Non è un caso, come non lo è mai. Era entrato per degli accertamenti a seguito di un’embolia polmonare ma aveva capito, da subito, che la situazione non si sarebbe risolta come le altre volte. Eppure non ha smesso di crederci e di provarci, finché ha potuto. Si muore come si vive, “a muso duro”.
A chi resta spetta l’eredità di portare avanti il lavoro di Franco. Un impegno gravoso, che non si può tradire. Un passaggio di testimone.