Il diplomatico nordico sventola, sconsolato, la bozza di “ordine del giorno commentato” che dovrebbe far da traccia alla riunione dei 28 capi di Stato e di governo convenuti a Bruxelles il 18 dicembre. Passeggiando davanti all’albero di Natale, sobriamente addobbato all’ingresso del palazzo Justus Lipsius, sede del Consiglio europeo, bisbiglia: “Questi fogli ormai non servono a nulla”. Poi chiarisce: “La cronaca ci supera, gli eventi delle scorse settimane, dei giorni passati, persino di queste ore, imporrebbero un’altra agenda”.
Lo “sherpa” (così sono appellati i negoziatori dei Paesi Ue in sede comunitaria) punta l’indice su un dato essenziale. Il summit era stato convocato, come da tradizione, prima della fine dell’anno, per discutere sostanzialmente di due punti: il piano di investimenti avanzato dalla Commissione; il caso-Ucraina. E così è stato.
Ma in realtà il “piano Juncker” (21 miliardi assicurati da bilancio Ue e Banca europea degli investimenti, più l’effetto leva in un ambizioso rapporto 1 a 15) è guardato tiepidamente sia dall’Europarlamento che dagli Stati membri, i quali si mostrano recalcitranti nel sostenerlo. Il vertice di ieri (18 dicembre) ha deciso nuove tappe: proposta legislativa a gennaio da parte della Commissione; approvazione in tempi relativamente stretti dai colegislatori, cioè Parlamento e Consiglio Ue. Poi a giugno varo del Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis), che dovrebbe diventare subito operativo e iniettare nell’arco di tre anni finanziamenti a progetti capaci di smuovere altri capitali, pubblici e privati, e far riprendere la marcia all’economia reale e all’occupazione. La politica ha i suoi tempi… ma i mercati ne hanno di altri.
D’altro canto la situazione del vicinato orientale più che il nome dell’Ucraina porta quello della Russia, che è il vero problema dell’Europa in quella regione. Le ultimissime e un po’ minacciose dichiarazioni di Vladimir Putin, l’instabilità del rublo, le forniture energetiche, l’abbraccio tentacolare di Mosca verso le province più a est dell’Ucraina, pongono seri interrogativi all’Ue e al summit se n’è discusso. In difficoltà sul fronte interno, il presidente russo punta sul nazionalismo, sulle promesse (“usciremo dalla crisi”) e sui “fantasmi” esterni che minaccerebbero il suo Paese. Nel suo annuale discorso alla nazione, Putin, proprio mentre i leader europei stavano arrivando a Bruxelles per il vertice, ha dichiarato: “Il muro di Berlino è crollato, ma si costruiscono nuovi muri nonostante i nostri tentativi di collaborare. L’espansione della Nato non è forse un muro virtuale?”. In questo clima ci sarebbe da aspettarsi di tutto… Forse anche per questo l’ipotesi di nuove sanzioni contro Mosca ha diviso i Ventotto.
Ai due argomenti posti nel calendario del Consiglio europeo, se ne aggiungono altri, incolpevolmente non previsti dal neo presidente Donald Tusk, polacco, succeduto al belga Herman Van Rompuy lo scorso 1° dicembre. In ordine sparso: la ventilata riappacificazione tra Stati Uniti e Cuba; il voto del Parlamento europeo che riconosce lo Stato Palestinese; la deriva antidemocratica assunta dalla Turchia di Erdogan; il protrarsi del conflitto mediorientale innescato dalle truppe del Califfato; il ritorno delle minacce terroristiche; l’infinito afflusso di migranti verso le coste del nord Mediterraneo. Per non parlare – ed è forse il problema che tutti colgono al volo – della ripresa economica rimandata ancora una volta.
Da qui la necessità per l’Unione europea di rivedere nel 2015 le sue priorità, di rimettere in fila i temi sui quali esprimersi con voce unica e autorevole, di serrare i ranghi per quanto riguarda gli sforzi volti alla ripresa economica, l’unica meta davvero ambita oggi dai cittadini europei, che si attendono lavoro, redditi certi e il ritorno degli investimenti pubblici finalizzati ai servizi, alla formazione, alla salute, alla ricerca, alla sicurezza.
Il quadro è, come sempre, complesso. L’azione Ue si colloca in un contesto più che mai mutevole e poco incoraggiante. Eppure sembra di intravvedere una nuova consapevolezza attorno a urgenti risposte comuni, di scala europea, rispetto agli ostacoli sul cammino. Dal Consiglio europeo del 18 dicembre è giunto qualche segnale. Non è tutto, ma non è nemmeno poco.
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