Siamo dunque di fronte a una novità assoluta. Finora, infatti, nella giurisprudenza internazionale, gli animali rientravano nella categoria di “proprietà privata”, senza godere di “diritti” in senso proprio o di personalità giuridica, come gli individui o le società. D’ora in poi, invece, grazie ai giudici – improvvisati filosofi – argentini, scopriamo che essi sono “persone non umane”, titolari di diritti fondamentali.
Certo, a ben guardare la questione presenta diversi lati problematici. Mentre le persone umane riconoscono e fissano i propri diritti fondamentali mediante il dialogo e il confronto comune, pur senza mancare difficoltà e contrasti ideologici, non sembra proprio che le (cosiddette) “persone non umane” siano in grado di fare ciò, né di rivendicare i propri diritti. Sono sempre le “persone umane” a decidere su di esse, anche quando si tratta di animali superiori come le grandi scimmie, forse, aggiungiamo noi, operando inconsciamente una certa “umanizzazione” di questi simpaticissimi nostri lontani “parenti”.
Ma l’aspetto più inquietante riguarda il fatto che secondo alcuni filosofi (ad esempio Peter Singer) non solo esistono “persone non umane”, ma anche esseri umani “non persone”, col risultato che mentre alle prime vanno sempre riconosciuti i diritti fondamentali, ai secondi non necessariamente. Come dire, all’orango Sandra sì e a “Mario”, uomo in stato vegetativo, no. Non sarebbe il caso di rifare un po’ d’ordine in questo mondo – magari senza il parere invadente dei giudici – riconoscendo il valore di ogni essere vivente ed insieme le peculiarità di ciascuna specie? Cara Sandra, auguri per la tua riconquistata libertà (da orango).