Di Federico Cenci
“Violenze, guerre, odio, sopraffazione”. Sono parole che suscitano emozioni negative quelle che hanno cadenzato lo scorrere della storia. Lungo un tale impervio cammino, fa però il suo ingresso una “luce che squarcia il buio” e che “ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione”. È Lui che “cancella il peso della sconfitta e la tristezza della schiavitù, e instaura la gioia e la letizia”.
In una basilica di San Pietro avvolta da un’atmosfera di sentito raccoglimento, riecheggia l’omelia pronunciata da papa Francesco durante la Messa della notte di Natale. Attingendo alla liturgia di questa “santa notte”, il Pontefice presenta ai fedeli la nascita del Salvatore “come luce che penetra e dissolve la più densa oscurità”.
E raccogliere uno sfavillio in mezzo all’oscurità è per ogni uomo un anelito, che i cristiani possono appagare a partire da questa “notte santa”. Efficace la metafora di cui Francesco si serve per fotografare tale momento topico: “Siamo venuti alla casa di Dio attraversando le tenebre che avvolgono la terra – ha spiegato -, ma guidati dalla fiamma della fede che illumina i nostri passi e animati dalla speranza di trovare la ‘grande luce’. Aprendo il nostro cuore, abbiamo anche noi la possibilità di contemplare il miracolo di quel bambino-sole che rischiara l’orizzonte sorgendo dall’alto”.
Risalire all’origine “delle tenebre che avvolgono il mondo” significa perdersi “nella notte dei tempi”. Il Papa evoca “il primo crimine dell’umanità”, consumatosi quando “la mano di Caino, accecato dall’invidia, colpì a morte il fratello Abele” (cfr Gen 4,8). Il noto episodio biblico fu solo l’incipit di una triste sequenza.
Di fronte “alla corruzione di uomini e popoli”, Dio “ad un certo punto avrebbe potuto rinunciare”, ma invece “ha continuato ad aspettare con pazienza” perché “aveva riposto le proprie attese nell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza”. L’annuncio della notte di Natale consiste proprio nella “luce che squarcia il buio” rivelandoci che la “paziente fedeltà” di Dio “è più forte delle tenebre e della corruzione”.
Un simile messaggio testimonia che “Dio non conosce lo scatto d’ira e l’impazienza”. Come il padre della parabola del figliol prodigo, Egli “è sempre lì”, in attesa “di intravedere da lontano il ritorno del figlio perduto”. Ritorno segnato da “una luce che squarcia il buio”.
“Essa nasce a Betlemme – ricorda il Santo Padre – e viene accolta dalle mani amorevoli di Maria, dall’affetto di Giuseppe, dallo stupore dei pastori”. Ed è proprio il “segno” che gli angeli annunciano a questi ultimi (cfr. Lc 2,12) che dà la misura della “umiltà di Dio portata all’estremo”. Umiltà che il Papa identifica nell’amore con cui, quella notte, “Egli ha assunto la nostra fragilità, la nostra sofferenza, le nostre angosce, i nostri desideri e i nostri limiti”.
Quell’anelito di ogni uomo, “il messaggio che tutti aspettavano”, non era altro che “la tenerezza di Dio”, il quale “ci guarda con occhi colmi di affetto” e accetta “la nostra miseria”: è un Dio “innamorato della nostra piccolezza”.
L’invito del Pontefice è dunque riflettere al cospetto di Gesù Bambino. “Come accogliamo la tenerezza di Dio? Mi lascio raggiungere da Lui, mi lascio abbracciare, oppure gli impedisco di avvicinarsi?”, le domande suggerite da Francesco. “La cosa più importante – soggiunge – non è cercarlo, bensì lasciare che sia Lui a trovarmi e ad accarezzarmi con amorevolezza”.
È di questo che ha oggi bisogno il mondo, di permettere a Dio di volerci bene. “La vita va affrontata con bontà, con mansuetudine”, afferma il Pontefice. Il quale prosegue: “Quando ci rendiamo conto che Dio è innamorato della nostra piccolezza, che Egli stesso si fa piccolo per incontrarci meglio, non possiamo non aprirgli il nostro cuore, e supplicarlo: ‘Signore, aiutami ad essere come te, donami la grazia della tenerezza nelle circostanze più dure della vita, donami la grazia della prossimità di fronte ad ogni necessità, della mitezza in qualsiasi conflitto’”.
Finita la Messa, papa Francesco ha personalmente deposto il Bambinello nella mangiatoia del presepe della Basilica. Gesto che ha preparato con una breve catechesi al termine della sua omelia. Evocando di nuovo la profezia di Isaia – “il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce” (Is 9,1) – il Pontefice ha spiegato: “La vide la gente semplice, disposta ad accogliere il dono di Dio. Al contrario, non la videro gli arroganti, i superbi, coloro che stabiliscono le leggi secondo i propri criteri personali, quelli che assumono atteggiamenti di chiusura”.